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Parla l'ex ministro: «Casini? Sta facendo una battaglia solitaria, dall'Udc tanti addii»

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Eletto al parlamento europeo nel 2004 nelle fila dell'Udeur, venne poi allontanato da Mastella: «Fui cacciato, è diverso. Con Clemente però, ho sempre mantenuto un rapporto di grande amicizia». Deputato Dc dal '76, era ministro del Bilancio all'apertura della stagione che avrebbe cambiato il volto della politica italiana. Colpito dal terzo infarto nell'ultima campagna elettorale, ha portato avanti la sua impresa con una serie di video registrati dall'ospedale. Oggi lavora alla ricostruzione di un grande partito di centro e, alla ricerca di quella che sembra un mediazione impossibile, ascolta le ragioni di tutti, da Mastella a Casini passando per Pizza, Lombardo e Carollo. Sentendolo parlare della «manovra centrista» sembra di ascoltare un uomo alle prese con una dichiarazione d'amore: «Il centro politico in Italia, o è democristiano, o è un fatto geometrico». Per alcuni, la Dc è per sempre. Onorevole Pomicino, non sono troppe le odierne Dc per tentare di ricomporle? «No, perché alla fine sono tutti democristiani». Mastella sembra più disponibile di Casini. «Decisamente. Casini sembra intenzionato a fare una battaglia solitaria. Si dovrebbe chiedere perché dall'Udc siano andati via in tanti: da Lombardo a D'Antoni fino a Follini e al sottoscritto. L'Udc, come la stragrande maggioranza dei partiti, soffre di una conduzione solitaria e proprietaria». Follini è un voltagabbana? «No. Quando c'erano i partiti, nessuno li lasciava, anche perché la loro vita interna era democratica. Adesso ci sono solo organizzazioni di potere e le persone si sentono libere di fare una scelta personale perché tutti espellono senza motivazione. Quello di Follini, è un tentativo disperato di ricomporre un partito di centro insieme a Mastella, sperando di attrarre anche Casini che teme però, mettendosi attorno a un tavolo con tutti quelli che si riconoscono nella cultura della Dc, di perdere un pezzo del partito pronto a passare con Berlusconi». Casini quindi è in mezzo al guado. «Sì, ma in mezzo al guado si affonda. Deve scegliere tra stare con Berlusconi o, come presidente dell'Internazionale democristiana, guidare un processo di ricomposizione politica del centro. La vera scommessa è quella di rimettere insieme i gruppi dirigenti. Ds a parte, in Italia i segretari dei partiti sono gli stessi da vent'anni perché si tratta quasi sempre di segretari-proprietari. Nel nostro Paese, sono i grandi poteri finanziari a non tollerare la presenza di grandi partiti di massa». Adesso sta parlando Geronimo. «Io l'ho letto Geronimo e mi ha convinto. C'è una grande autoreferenzialità delle forze economiche e finanziarie italiane. Queste, che sono anche proprietarie dei grandi giornali, hanno fatto un cortocircuito di poteri e necessitano di partiti piccoli e deboli, privi di culture politiche di riferimento. Bisogna pur governare e quindi, i grandi partiti, non essendo più capaci di essere di massa nel Paese, cercano di esserlo nel parlamento, attraverso il premio di maggioranza. È questo l'imbroglio democratico del Paese». Quindi la riforma della legge elettorale è una priorità assoluta? «Io sono per un sistema proporzionale puro e la riforma è importante ma non può risolvere questioni di ordine politico. Avevo lasciato un'aula parlamentare abituata a dialogare e ho ritrovato uno stadio. La responsabilità è di un sistema ridicolo e autoritario come il maggioritario, siamo difronte a una frammentazione politica da mondo di Lilliput. Nella Prima repubblica i primi due partiti al governo, Dc e Psi, raggiungevano il 45%. Oggi Ds e Margherita sono al 27». È stato considerato uno dei consiglieri di Berlusconi. Se oggi dovesse dargli un suggerimento? «Sfrutti il suo ruolo di leader per ricostruire il centro. Dovrebbe passare per la democratizzazione interna del partito. La storia dei grandi partiti di massa, è una storia democratica e non proprietaria». Temo che il partito di Berlusconi sia l'esempio del part

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