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APPROVATA al Senato l'elezione diretta del premier, prevista dall'articolo 27 della riforma istituzionale.

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Di fatto, un'elezione diretta. La Casa delle Libertà è impegnata a portare a compimento il percorso delle riforme nei tempi previsti: quel 25 marzo (giovedì prossimo), che la Lega Nord considera un termine ultimo non valicabile. Pena, minaccia il numero due del Carroccio Roberto Calderoli, l'uscita dei ministri leghisti dal governo. Il consiglio federale della Lega di domenica prossima a Bergamo, avverte Bobo Maroni, trarrà le conclusioni, sia sulle riforme sia sul caso del decreto salva calcio. Ma rassicura tutti il vice premier Fini da Tallin: «Sono convinto che le riforme istituzionali verranno approvate perché esse nel testo sono condivise dalla maggioranza dopo molti incontri e mediazioni e perché così avevamo scritto nel programma con cui abbiamo vinto le elezioni». Così ieri il Senato è andato avanti tutto il pomeriggio con l'obiettivo del voto finale giovedì mattina. I tempi sono contingentati e per le dichiarazioni di voto non resta che un pugno di ore, esaurite le quali si passerà a votare senza più discussione. Approvati anche gli articoli l'art. 28 e 29. Il primo prevede lo scioglimento automatico della Camera in caso di approvazione di una mozione di sfiducia contro il premier; il secondo dà al premier il potere di nominare e revocare i ministri del suo governo. L'Ulivo spara a zero: «Era più avanzato lo statuto di Papa Pio IX», dice il socialista Cesare Marini. «In questo modo - esclama il diessino Bassanini - la Camera è alla mercè del premier e si arriva a un sistema peronista, cesarista e plebiscitario. Insomma, si sceglie un sistema che non è più dentro la forma democratica: è un salto nel buio che combatteremo anche con il referendum, se ce ne sarà bisogno». Nel frattempo il relatore D'Onofrio (Udc) ha presentato alcuni emendamenti per rafforzare il controllo dello Stato sulle Regioni che escono dal seminato (si prevede che i principi del potere sostitutivo delle Stato sulle Regioni debbano essere approvati dalla Camera e dal Senato federale a maggioranza assoluta dei componenti). D'Onofrio propone anche che il Senato federale, integrato dai presidenti delle Regioni, nomini un terzo dei membri del Csm.

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