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La congiuntura incerta brucia 600 mila posti

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Tante sono, infatti, le assunzioni potenziali «bruciate», vale a dire posti che le imprese non hanno creato, pur avendone bisogno, per le difficoltà e le incertezze del mercato. È quanto emerge da uno studio elaborato dal Censis per Italia Lavoro, l'agenzia tecnica del ministero del Welfare per le politiche attive dell'occupazione. Una stima che non dà conto del saldo occupazionale, al netto delle cessazioni, ma solo delle aspettative sui nuovi ingressi nel mondo del lavoro. Senza la congiuntura negativa, si sarebbe confermata la tendenza degli anni passati. Nel 2002, le assunzioni sono state un milione e 300 mila. Per l'anno in corso, le previsioni per industria e servizi si fermano a 672 mila nuovi ingressi (senza considerare quelli dell'agricoltura, della pubblica amministrazione e del lavoro autonomo). Ma una grossa fetta di aziende ha rinunciato ad allargare gli organici, disperdendo quasi altrettanti nuovi posti di lavoro. Solo un'impresa su quattro (24,5%) ha espresso la volontà di assumere quest'anno. La stragrande maggioranza (75,5%) ha dichiarato, invece, di non voler aumentare il proprio personale, in primo luogo perchè l'organico aziendale era già al completo (40,1%). Una grossa fetta di aziende dell'industria e dei servizi però ha affermato di rinunciare ad assumere perché le condizioni di mercato apparivano incerte (22,3%). Quindi, poco meno di un quarto delle aziende avrebbe assunto se, si legge nel rapporto del Censis, «non fosse stato inibito dall'attuale congiuntura». Tra le altre cause che hanno frenato le imprese, i problemi logistici o di ristrutturazione (4,1%), l'eccessivo carico fiscale e contributivo (4,1%) o altri motivi (4,9%), come la difficoltà a reperire personale adeguato e la mancanza di flessibilità nella gestione delle risorse. Segnali evidenti, osserva lo studio, di un Paese che «annaspa, in pericoloso bilico tra una ripresa che tarda a venire e un declino in agguato». Della fase di stagnazione, in cui versa la nostra economia da due anni a questa parte, si avvertono, infatti, i primi risultati negativi. Rallenta il Pil, cresciuto nel 2002 solo dello 0,4%, contro il +1,8% dell'anno precedente. Le esportazioni, con un crollo del 5,1%, hanno interrotto il trend positivo che durava dall'inizio degli anni Novanta (solo nel 2001 il loro valore reale era aumentato del 2,1%). Battuta d'arresto anche per la crescita dell'occupazione: +1% tra luglio 2002 e luglio 2003, contro il +1,2% dello stesso periodo dell'anno precedente. Nonostante il periodo critico, comunque resta alta la propensione ad assumere tra le grandi imprese: 71,7% tra quelle con oltre 250 dipendenti. Mentre la percentuale scende al 20,3% tra le aziende con meno di nove addetti (ma che sono, in realtà, molto più numerose). Si attesta al 39,6% nella classe compresa tra 10 e 49 lavoratori e sale al 55,8% in quella tra 50 e 249. Le aziende più grandi sono anche quelle che risentono meno della congiuntura. Il 28,2% decide di non assumere, ma solo per altri motivi. Mentre il contesto economico pesa soprattutto per le piccole imprese (23,5% non assume a causa dell'incertezza), ma anche in quelle di dimensioni intermedie (19,5% tra quelle di 10-49 dipendenti e 10% tra i 50 e i 249).

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