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Gabriele Albertini: "Ingiusto che i giudici non paghino gli errori". Serve una legge per risarcire gli innocenti

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«Nel dubbio dì sempre la verità» questo era ciò che Gabriele Albertini mi scrisse nel 1998 all'indomani di un mio momento di vita personale molto difficile; era una frase che gli veniva spesso ripetuta a pagina 10 dalla mamma e che rappresenta, secondo me, esattamente il suo essere. Gabriele Albertini è un uomo di una onestà intellettuale straordinaria, e per esserlo bisogna proprio seguire quel consiglio saggio, quella rotta, di raccontare sempre «la verità», prima di tutto a noi stessi. Segue Questo esercizio apparentemente banale non è semplice, tutt' altro e richiede una grandissima capacità di autocritica. Così la conversazione con Albertini parte proprio da un episodio che lo riguarda personalmente: la giustizia. Dopo sedici anni la Cassazione ha definitivamente condannato la Provincia di Milano, allora guidata da Filippo Penati di centrosinistra ad un maxi risarcimento di circa quarantaquattro milioni di euro. Filippo Penati è deceduto nel 2019 ma la sua giunta dovrà risarcire lo Stato di un danno erariale considerevole. Gabriele Albertini fu tacciato di aver ingaggiato una battaglia legale nel 2005 con la Provincia per meri motivi politici. La realtà era però molto diversa ed infatti Gabriele Albertini denunciò l'inutilità da parte di un ente pubblico, in questo caso la Provincia, di pagare, anzi strapagare, per acquistare quote di proprietà di un imprenditore. Albertini ha atteso sedici anni fino ad arrivare nel dicembre scorso , ad una condanna risarcitoria definitiva.

 

 

Albertini sei stato, dal 1997 e fino alla fine del tuo mandato nel 2006, il promotore di un accordo Comune e Procura di Milano per evitare che la corruzione tornasse a Palazzo Marino e questo tuo atteggiamento non sempre fu apprezzato da qualche leader politico che sosteneva la tua maggioranza. Alla luce di quello che hai dovuto passare e subire nell'inchiesta sulla Serravalle quale è oggi il tuo pensiero sulla Giustizia?
«Premetto che, come giustamente hai ricordato tu, feci costituire il gruppo di lavoro "Alì Babà" con tre super magistrati in servizio Gherardo Colombo, Nunzia Ciaravolo e Claudio Gittardi per contrastare qualsiasi fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione che dirigevo. Questo portò degli ottimi risultati per esempio i patti di integrità con cui furono cancellate seicento aziende che operavano in modo scorretto con il Comune di Milano. Non solo, riuscii a fare i tre depuratori di Milano (Nosedo, SanRocco e Peschiera Borromeo) evitando ogni infiltrazione mafiosa e senza alcun avviso di garanzia. Da ragazzo volevo fare il magistrato perché ho sempre odiato la protervia dei potenti. Tutto questo aggiungendo che eravamo in un periodo storico dove i magistrati di Milano, ricordiamoci che Berlusconi chiamò Antonio Di Pietro a fare il Ministro nel suo Governo, erano considerati degli eroi popolari. Insomma in quel momento quella fu una scelta giusta».

E poi?
«Poi nella vita tutto si trasforma e l'esperienza ti porta a capire come anche l'Ordine Giudiziario sia fatto di persone fallaci che possono commettere errori ma, la cosa deprecabile è che i magistrati siano gli unici che non pagano mai per le loro manchevolezze. Ecco questo è l'unico vero e grande tasto negativo: "nessun magistrato può essere sottoposto a procedimento disciplinare per valutazione delle prove ed interpretazione delle norme" questa irresponsabilità porta alla impunità. Per questo mi sono battuto, da Parlamentare per una legge che facesse pagare dallo Stato i conti dell'avvocato di chi è stato accusato ingiustamente».

 

 

 

Mi vuoi spiegare bene?
«Pensa che sono circa, ogni anno, novantamila le persone innocenti che non solo non vengono risarcite ma che si trovano a pagare una sanzione pecuniaria che è la parcella dell'avvocato. Oggi finalmente grazie all'ex Ministro Costa si è riusciti a stanziare una cifra, irrisoria ma simbolicamente importante, di otto milioni di euro, nella finanziaria affinché possa essere applicata questa norma da me voluta quando nel 2016 presentai il mio disegno di legge sulla ingiusta imputazione che raccolse la firma, oltre la mia, come primo firmatario, di altri 193 Senatori che corrispondono al 60 per cento del Senato».

Ma c'è qualcosa che è cambiato profondamente dentro dite nell'approccio con la Giustizia?
«Certamente mi sconvolsero i metodi applicati dall'ex magistrato Robledo quando il ragioniere capo del Comune di Milano venne prelevato dal suo ufficio alle due del pomeriggio e fu interrogato per ore, fino a tarda notte per una ipotesi di reato alquanto improbabile. L'interrogatorio avvenne con metodi da Gestapo come ebbe a dirci la vittima, circostanza poi accertata come realmente accaduta, nelle motivazioni del processo che ebbi a subire per averla denunciata. In quella occasione ho capito come la famosa frase di Giovanni Giolitti "Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano" fosse portatrice di una grande verità. E per finire con la vicenda della Serravalle come si legge nella pur bella intervista a Di Pietro comparsa su dal titolo "Serravalle storia di una non inchiesta" sembra quasi che la prescrizione sia considerata un fatto deprecabile, certo, ma quasi, per così dire, un evento causato dal destino, dalla mala sorte invece che da un responsabile. Una persona fisica, l'ex pubblico ministero Robledo che lasciò per 7 anni nel limbo tutta la vicenda e non fece ciò che doveva fare, indagare e concludere le indagini con due possibili finali: la richiesta l'archiviazione o la richiesta di rinvio a giudizio. Nessuno lo censurò per la sua inerzia, il Procuratore Generale non avocò l'inchiesta e quando feci i tre esposti, segnalando l'anomalia, nessuno lo ritenne meritevole di sanzioni anzi dovetti subire un processo per calunnia aggravata. La mia piena innocenza dall'accusa venne riconosciuta dal giudicato definitivo ma il magistrato non venne mai punito».

Ormai il tuo giudizio è tranchant sulla magistratura...
«Come ti ho detto ci sono magistrati eccellenti che operano in modo straordinario. Non apprezzo che siano impuniti rispetto agli errori che fanno; ho tra i miei migliori amici giudici e magistrati e ho avuto l'onore di fare l'elogio funebre ad un grande magistrato Giuseppe Grecchi già Presidente per nove anni della Corte d'appello di Milano. Ho celebrato il matrimonio di una mia ex fidanzata, giudice, con un altro giudice e questa coppia di amici sono i miei esecutori testamentali. Voglio, inoltre, ricordare che Saverio Borrelli dichiarò di aver votato per me, con voto disgiunto, alla mia rielezione nel 2001 a Sindaco apprezzando il mio profilo istituzionale. Insomma nella magistratura, come ovunque, ci sono persone per bene ed altre meno».

 

 

Nel tuo ultimo libro, scritto con Sergio Rotondo, «Rivoglio la mia Milano» racconti e ripercorri gli anni, dal 1997 al 2006, della tua vita da Sindaco e da Deputato Europeo e da Senatore. Hai incontrato le più autorevoli personalità del mondo della politica, della cultura e della società. Hai qualche ricordo in particolare?
«La Regina Elisabetta per la sua "regalità" vera e profonda. Ricordo che in piazza San Fedele, dietro Palazzo Marino, mentre salutava un gruppo di studenti delle scuole britanniche c'era una bambina pestifera che continuava insistentemente a rivolgerle domande. La Regina Elisabetta rimase impossibile non mosse un ciglio, semplicemente la ignorò. Si deve sapere che, da protocollo, nessuno può rivolgere domande alla Regina».

Mi hai accennato alla regina Elisabetta ma hai anche incontrato suo figlio Andrea oggi accusato nel caso Epstein. Cosa ricordi di lui?
«Persona simpatica e cordiale, e ricordo il suo commento sagace sulla mia bellissima assistente Cinzia...»

Parliamo di Regine. Rania di Giordania?
«Una grazia ed una eleganza senza pari».

Esiste un momento in cui sei stato particolarmente orgoglioso di essere sindaco di Milano?
«Tantissimi momenti. Se devo però citarne uno fu nel 1998 quando ero con due giganti fisici e politici, Helmut Khol e Bill Clinton, a Birmingham, città gemellata con Milano ed in occasione del G8. Sia Clinton che Khol si contendevano la palma di chi avesse dato i migliori giudizi su Milano una città dalla economia dinamica ed operosa, dicevano. Finché Clinton disse "I love Milano". L'amore di un sindaco per la propria città è forse difficile da capire per chi non l'ha amministrata».

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