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Luciano Moggi si racconta: "Il calcio, Agnelli e i pm. La mia vita tra Pablito, Maradona e l'Avvocato"

Giovanni Terzi
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«La Juve finisce spesso nell'occhio dei magistrati perché si espone di più o perché più potente? Nel merito delle carte non entro. Bisogna capire quali situazioni hanno portato a investigare nuovamente sui bilanci. Quando ho iniziato io, nei primi anni Duemila, la prima inchiesta che aveva riguardato la Juve era stata quella di Guariniello sul doping farmacologico, da cui poi era nata nel 2004 quella sulle frodi sportive, condotta sempre dalla procura di Torino. Di sicuro più una società è importante e più i riflettori vengono accesi su di lei. Poi, che ci sia un accanimento, lo si vedrà dopo gli accertamenti». Così ha detto Luca Palamara, il magistrato che ha, un anno fa, denunciato comportamenti non coretti da parte del CSM . In soldoni Luca Palamara ha detto che la Juve è attrattiva per le inchieste giudiziarie. «Palamara dice una cosa assolutamente ragionevole. Nell'inchiesta sono infatti coinvolte altre società come il Parma, il Genoa, la Sampdoria, il Chievo Verona, per finire con il Pescara e il Napoli ma si parla soltanto di Juventus». Così dice Luciano Moggi già dirigente sportivo di grandi società calcistiche come Roma, Lazio, Torino, Napoli e Juventus, che è riuscito a conquistare sei scudetti, tre Coppe Italia, cinque Supercoppe italiane (quattro con la Juventus e una con il Napoli), una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una supercoppa UEFA (tutte con la Juve) oltre alla vittoria della Coppa Uefa con il Napoli; insomma uno che di calcio e di sport se ne intende. «Non conosco nel merito l'inchiesta ma so con precisione ciò che accadde nel 2004 per l'indagine delle procure per i bilanci falsi» continua Moggi.

 

 

Cosa accadde?
«Tutto evaporò come una bolla di sapone. Le procure archiviarono facendo rimanere in piedi soltanto l'inchiesta sulla Juventus per infedeltà patrimoniale dovuta all'acquisto del calciatore Moretti della Fiorentina».

E come andò a finire?
«Premesso che l'acquisto fu fatto dalla Juve per sostenere la Fiorentina che era in difficoltà finanziaria ma alla fine, il tutto, si concluse con la richiesta della Juve di patteggiare ma con il GUP (giudice per udienza preliminare) che chiese l'archiviazione perché il fatto non sussisteva».

E quindi anche questa volta pensa che finirà tutto in una "bolla di sapone"?
«Ripeto che non conosco le carte mi risulta però difficile pensare che una società quotata in borsa possa fare plusvalenze e, per ciò che io so della società, credo sia impossibile che la Juventus falsifichi. Intanto però si creano i conflitti di opinione e con questo si costruisce notorietà e si vende di più; le racconto un altro fatto...».

Mi dica...
«Un giorno uscì su un giornale sportivo la notizia "ecco come truccano i sorteggi" ma dopo questa sparata non successe nulla nella realtà. Spesso sono i giornali che fanno il processo costruendo un sentimento popolare su cui viene prodotta la notizia. Anche in questo caso il processo fu fatto dopo anni ma erano già state formulate delle condanne a priori».

 

 

 

Parlando di calcio giocato un anno fa ci lasciava Paolo Rossi un grande campione che lei in qualche modo scoprì. Che ricordo ha del Pablito nazionale?
«La sua scomparsa prematura ed inaspettata mi ha molto colpito e rattristato. Così giovane e con una famiglia meravigliosa. Ho telefonato subito a sua moglie Federica perché a Paolo volevo davvero bene, come ad un figlio».

Quasi si interrompe Luciano Moggi nel parlare del grande campione di calcio e ricordando l'amore della moglie Federica. È una commozione reale di un uomo che non lascia quasi mai trasparire i sentimenti profondi.
«Innanzitutto Paolo Rossi si è scoperto da solo. Noi osservatori dobbiamo solo recepire le notizie di coloro che visionano i giocatori e poi andare a vedere. Io arrivai alla Juve e trovai il fratello Rossano, un buon giocatore tecnicamente preparato ma non veloce, insomma per me non era da Juve. Intanto mi segnalarono Paolo e vado a vederlo mentre giocava nella Cattolica Virtus Firenze e ne rimango stregato. Due piedi incredibili, che parlavano, una visione del gioco straordinaria ed il fiuto per il gol. Non è mai stato fortunato sotto il profilo fisico perché tartassato da tanti infortuni ma ha sempre saputo riprendersi perché era un campione con delle doti di umiltà e resistenza incredibili; e questo senza parlare del profilo umano».

Invece parliamone Moggi, forse un po' manca nel calcio di oggi ...
«Posso dire che era un ragazzo perbene, portatore di valori sani e capace di essere un esempio positivo per tutto il movimento calcistico».

Cosa fece per portarlo alla Juventus?
«Chiesi al papà di Paolo Rossi di far cambio e riportare Rossano a Firenze e Paolo a Torino. Fu, forse, una delle trattative più complicate della mia carriera».

Un altro campione che ha avuto da dirigente, anche lui scomparso un anno fa, è stato Diego Armando Maradona. Che ricordo ha di lui?
«Difficilmente si può spiegare un uomo come Maradona. Dentro di lui c'erano almeno due persone: una adorabile, generosa e capace di dare la vita per aiutare chi amava ma anche chi ne aveva bisogno. E poi c'era il calciatore dal talento unico ma capace di farsi del male. Le racconto un aneddoto: dovevamo andare a Mosca per giocare Spartak-Napoli ed io avevo saputo che lui non voleva partire con la squadra ma con un aereo privato il giorno dopo. Andai a casa da lui e dissi che, qualora fosse successa questa cosa, lui non avrebbe giocato».

E che cosa successe?
«Diego arrivò con l'aereo privato il giorno dopo e si presentò al ristorante. A quel punto io scelsi di dimettermi perché volevo tenere fede a ciò che avevo detto».

E Maradona?
«Nulla. Io dissi che se fosse andato via lui sarebbe implosa la città mentre dimettendomi io non succedeva niente».

 

 

 

La sua carriera fu soprattutto alla Juventus. Che ricordo ha dell'avvocato Gianni Agnelli?
«L'avvocato ogni mattina alle cinque e mezza mi chiamava per sapere come andava la squadra. Per me è stato un rapporto ottimale perché ho sempre avuto la fortuna che si fidasse ciecamente di me e questo ha fatto la differenza. Ma non solo con l'avvocato ma anche con il fratello Umberto ebbi un rapporto profondo. Erano due imprenditori straordinari uno, l'avvocato Gianni, capace di grandi visioni e l'altro, Umberto , con doti manageriali davvero eccezionali. Ogni quindici giorni ci trovavamo per vedere i bilanci e le criticità della società. È stata un'esperienza sia professionale che umana per me indimenticabile».

Che ricordo ha di Umberto Agnelli?
«Un ricordo è stato quando voleva prendere Didier Deschamps come allenatore il quale si faceva desiderare. Così io andai a Roma per cercare un accordo con Fabio Capello che aveva deciso di andare via dalla società giallorossa. Fatto l'accordo con Capello lo dissi al dottor Umberto pregandolo di non confidarli ad alcuna persona, nemmeno sua moglie. Quando mancò la moglie, Allegra Caracciolo, mi confidò che alla domanda precisa di chi sarebbe stato l'allenatore della Juve il dottor Umberto a denti stretti aveva detto. Questo era il livello di relazione che avevamo».

Ed invece dell'avvocato Gianni Agnelli?
«Ricordo una telefonata in cui esordi dicendomi "se le avanza qualcosa pensi a me" riferendosi ad un sondaggio in cui ero uno dei dirigenti sportivi più apprezzato dalle donne. L'avvocato era una persona con una ironia molto inglese. Però, la cosa che più mi è rimasta nel cuore, e che solo due giorni prima che morisse mi ha voluto, insieme a Lippi, vicino. E con questo ho detto tutto».

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