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Ucraina, Israele e Russia, è guerra globale. Minzolini: il filo rosso anti-Nato

Augusto Minzolini
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Ieri la guerra in Ucraina. Oggi l’attacco di Hamas ad Israele. Domani, magari, la crisi di Taiwan. Per orientarsi nella guerra mondiale «a pezzi» (copyright Papa Francesco) bisogna partire dall’assunto che nel mondo globalizzato non esistono più conflitti regionali. Uno strumento di interpretazione potrebbe essere l’«effetto farfalla» di Edwuard Lorenz: come il batter d’ali di una farfalla in Brasile può provocare - per utilizzare la sua celeberrima immagine - un tornado in Texas, così la guerra russo-ucraina può innescare uno scontro senza precedenti e senza umanità tra Israele e palestinesi. Quella guerra nel bel mezzo dell’Europa ha innescato un processo di alleanze contro la Nato che ha messo in connessione la Russia di Putin, l’Iran degli ayatollah e la Cina di Xi. Di conseguenza lo scacchiere dove si svolge il confronto è diventato ben più grande del Donbass o della Crimea. Siamo entrati di fatto nel nuovo equilibrio del caos, del disordine mondiale: se qualche mese fa c’era lo zampino della Wagner nell’aumento degli sbarchi di immigrati clandestini in Italia provenienti della Libia, ora solo i duri di comprendonio stentano a rendersi conto che la guerra di Hamas contro Israele per conto dell’Iran è stata ideata per far saltare l’accordo tra Riad e Gerusalemme. Non solo: utilizzando le efferate gesta di Hamas, Teheran fa anche un piacere al suo nuovo alleato strategico, Putin, distraendo l’Occidente dal conflitto ucraino.

 

 

In più la crisi medio-orientale si porta dietro una serie di conseguenze che non possono non preoccupare l’Europa: si apre una nuova crisi energetica (il prezzo del gas è alle stelle) e la destabilizzazione di quell’area imprime un nuovo impulso al fenomeno migratorio. Tutto ciò, ovviamente, non può non riflettersi sull’orientamento delle opinioni pubbliche occidentali. Ad esempio negli Stati Uniti - dove la maggioranza della popolazione è sempre più diffidente verso gli aiuti a Kiev - la sicurezza di Israele diventerà d’ora in avanti l’argomento prioritario vista l’influenza che la comunità ebraica può esercitare sulla vita del Paese. La guerra in Ucraina, invece, malgrado gli sforzi della Casa Bianca, sarà sempre meno centrale. Ecco perché per individuare una logica nella follia di Hamas, nel gioco d’azzardo che rischia di mandare all’aria la striscia di Gaza, bisogna inquadrare la tragedia in un quadro più ampio: pure il più irresponsabile dei kamikaze segue sempre una ratio. Ragion per cui la vicenda medio-orientale dovrebbe suggerire almeno un aggiornamento dei piani, della filosofia, degli obiettivi dell’Occidente in Ucraina. Consiglierebbe un’iniezione di realismo a cui dovrebbe sottoporsi innanzitutto il governo di Kiev.

 

 

Gli Stati Uniti, l’Europa, la Nato dovrebbero porsi soprattutto una domanda: mentre il mondo si incendia si può alimentare un conflitto, da mesi in stallo, confidando nel sogno di una nazione ferita - perché di questo si tratta - di riconquistare il Donbass e, magari, la Crimea? O, ancora, non sarebbe il caso, mentre sta scoppiando una guerra mondiale asimmetrica, di garantire all’Ucraina un futuro di sicurezza e di libertà aprendole le porte della Nato? In fondo anche questo epilogo, al netto di ogni propaganda di parte, segnerebbe la sconfitta di Putin che aggredì Kiev per far fuori Zelensky, per annettersi di fatto l’Ucraina e per evitare il suo ingresso nell’Alleanza Atlantica. Obiettivi, al momento, miseramente falliti. Un esito che Zelensky dovrebbe rimarcare più di quanto faccia. La verità è che ci sarebbe bisogno di un bagno di realismo politico, di quel sano pragmatismo che portò l’Italia in epoche diverse a rinunciare a Nizza e all’Istria o per arrivare all’unità del Paese o per garantirsi la libertà. Anche perché più la terza guerra mondiale «a pezzi» si allarga e più diventa complicato per l’Occidente assecondare sempre, comunque e incondizionatamente le richieste di Zelensky. Si può, e si deve, essere a fianco di Kiev per la sua esistenza e la sua indipendenza ma è difficile convincere chiunque a rischiare una guerra mondiale sia pure «a pezzi» per il Donbass.

 

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