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Ambientalismo, il green non diventi religione: mosse senza logica degli imbrattatori

Santi Bailor
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Cosa c’entra Palazzo Vecchio, in piazza della Signoria a Firenze, con l’inquinamento ambientale? Nulla. E un quadro di quel genio di Vincent van Gogh, cosa può aver a che fare col cambiamento climatico? Zero assoluto. Per questo, per la totale mancanza di nesso logico e razionale tra imbrattare l’arte e salvare il Pianeta, i recenti fatti di Firenze - con la vernice su Palazzo Vecchio spennellata da attivisti ambientalisti e con il sindaco del capoluogo toscano, Dario Nardella, che si è adoperato per fermarli - meritano qualcosa di più di un resoconto. La questione è che già da un po’ di anni l’ambientalismo e il green stanno diventando una vera e propria ideologia e non una politica a cui il Mondo dovrebbe tendere per ridurre l’inquinamento. Un’ideologia che garba parecchio a sinistra e che ben si sposa con altre due ideologie di gran moda (e anch’esse amate assai dalla sinistra): il politicamente corretto e la cancel culture, ovvero la cultura della cancellazione del passato di noi occidentali, liquidato ogni giorno di più sotto forma di processi a fatti o personaggi storici giudicati nel presente e non nel loro tempo.

 

 

Il sociologo Luca Ricolfi, criticando questo atteggiamento di continua messa al bando della cultura occidentale del passato, ha detto in proposito: «Il problema è che non siamo più una società liberale e stiamo assumendo tratti tribali. È infatti nelle società tribali che le colpe dei padri ricadono sui figli» e - aggiungiamo noi - diventano un totem da abbattere (come nel caso delle polemiche in Usa sulle statue di Cristoforo Colombo, per citare un esempio). Prima che l’ideologia green, unita al politicamente corretto e alla cancel culture, travolga l’identità occidentale è perciò necessario un esercizio laico e salutare: aver chiaro che l’ambientalismo è politica e non religione.

 

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