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Migranti, salviamo vite ma l'Europa non si accontenta

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Riccardo Mazzoni
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«Non sapete quello che accadrà tra qualche mese, non avete idea. O l’Europa si rende conto che siamo arrivati al punto zero o saremo costretti a piangere ancora altri morti perché nei Paesi di partenza non si dice che fine fanno i loro connazionali. La gente è convinta che pagando i mafiosi e salendo sulle zattere potrà raggiungere l’Eldorado. E non è così». L’allarme lanciato ieri dal ministro del Mare Musumeci, dopo che la Guardia costiera in 24 ore ha salvato più di 1.300 migranti, con il numero di arrivi giunto nel 2023 a quota 17.592 - il triplo di un anno fa – è purtroppo realistico, e tutti dovrebbero prenderne coscienza, a partire dal Pd che pontifica dopo aver governato per dieci lunghi anni senza risolvere nulla.

 

Sarebbe il momento, insomma, di dismettere le opposte propagande, prima di tutto senza lucrare politicamente su tragedie come quella di Cutro: il centrodestra lo ha fatto seguendo la bussola pragmatica di un governo responsabile, la sinistra invece resta aggrappata alla barricata ideologica dell’accoglienza indiscriminata. Di fronte a un fenomeno di dimensioni epocali che sfugge al controllo degli Stati sovrani è illusorio sia pensare di blindare le frontiere che di far entrare tutti senza porre alcun limite: sono due facce speculari di politiche entrambe destinate al fallimento. Ci sono molteplici fattori che in questo momento storico alimentano la spinta a emigrare: pensiamo all’Afghanistan dell’oppressione talebana, alla Siria in fiamme e devastata dal terremoto, al Corno d’Africa, alla Libia e alla stessa Tunisia, unica democrazia rimasta dopo le primavere arabe ma ora in preda a un’involuzione autoritaria. Persecuzioni, fame e clima sono un mix esplosivo in grado di mettere in marcia milioni di esseri umani.

 

È dunque sempre più chiaro che l’Italia non può farcela da sola, e che a causa della nostra posizione geografica è difficile attuare una stretta anti-sbarchi come quella varata dal premier britannico Sunak, per cui il governo Meloni è chiamato a un’impresa finora fallita da tutti, compreso Draghi: svegliare dal letargo il convitato di pietra che si chiama Europa. Lo scambio epistolare tra la nostra premier e i vertici di Commissione e Consiglio Ue sembrerebbe aver aperto uno spiraglio, ma i precedenti inducono al pessimismo, perché troppe promesse sono finite nel nulla. Nel summit del 9 febbraio sono state concordate «misure pratiche e concrete nel campo dell’aumento dell’azione esterna, della cooperazione rafforzata in materia di rimpatri e riammissione, controllo delle frontiere esterne dell’Ue, lotta alla strumentalizzazione, alla tratta e al traffico di migranti», ma a fronte dell’aumento esponenziale degli arrivi sulle nostre coste per il momento l’unica risposta è stata quella di sette Paesi che ci hanno messo sotto processo – con il sostegno della Commissione - per la vicenda dei dublinanti, ossia degli stranieri registrati in Italia e sconfinati in altre nazioni dell’Ue, che secondo il Regolamento di Dublino noi dovremmo riprenderci. Mentre i governi che rifiutano i ricollocamenti concordati non subiscono né richiami né sanzioni, l’Italia che salva migliaia di migranti viene invece messa nel mirino quando tenta di arginare i traffici degli scafisti e di difendere i suoi confini, che sono anche i confini europei.

 

C’è, insomma, tanta responsabilità italiana e neanche un po’ di solidarietà europea. Quindi, o l’Europa batte un colpo - e oggi non sta dando una mano né sul fronte della distribuzione dei migranti né su quello dei rimpatri, o già nelle prossime settimane ci troveremo di fronte a una situazione drammatica e ingestibile. Le tragedie in mare si scongiurano bloccando le partenze e aprendo flussi legali attraverso accordi di partenariato che dovrebbero essere gestiti a livello comunitario, ma per fare questo ci vorranno anni. Nel frattempo va disattivato il cortocircuito per cui, mentre la redistribuzione dei migranti dall’Italia all’Europa si è finora limitata a una percentuale irrisoria, chi si dice pronto a collaborare – come Francia e Germania – ci pone la condizione capestro di bloccare i movimenti secondari e di riprenderci tutti i dublinanti

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