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Terzo polo, i centristi evitino l'errore dei personalismi

Benedetta Frucci
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Le amministrative di domenica scorsa non restituiscono grandi sorprese, visto che alla fine, come ci si aspettava, si è avuta una vittoria del centrodestra da nord a sud, con un Pd che resiste e un Movimento Cinque Stelle ridotto ai minimi termini, determinando il fallimento totale dell’operazione campo largo tanto voluta da Enrico Letta. Semmai, il fenomeno interessante e nuovo è quello del cosiddetto centro, un centro che riesce a raccogliere consensi ma che lo fa indipendentemente dal simbolo e dal nome. Siamo infatti così abituati alla presenza delle leadership che, dalle colonne dei giornali, si cerca di legare quello spazio a un volto: ora è Renzi, ora è Calenda. La verità è che quello spazio esiste e si legittima da solo, al di là del volto e del simbolo. Uno spazio che Matteo Renzi ha definito «area Draghi» e che si è manifestato nel 25% di Tosi a Verona, sostenuto da Italia Viva e da Forza Italia - lì, Azione era nel campo largo di centrosinistra e ha preso solo l’1% dei consensi- a Genova con Bucci, dove i centristi scoperti di Renzi hanno eletto due consiglieri e quelli sotto copertura di Calenda uno, risultando determinanti per la vittoria al primo turno, la vedi a Palermo con Ferrandelli ma anche nei cinque consiglieri ribelli renziani eletti nelle liste di Lagalla e ancora a L’Aquila, dove Azione elegge un consigliere esattamente come Italia Viva, se pur in liste differenti e sostenendo candidati differenti.

Il boom del centro, insomma, non è il boom di Calenda o di Renzi o di Bucci o di Tosi. È semplicemente la convergenza degli elettori su un polo riformista e liberale che, laddove viene presentato, trova mercato. Quel polo può diventare determinante per formare qualsiasi governo alle elezioni politiche del 2023, oppure può restare lettera morta. Tutto sta nella volontà dei suoi protagonisti naturali di rinunciare ai personalismi e fare un passo indietro per dare rappresentanza a quell’area. Matteo Renzi sembra pronto a farlo. Così come da nord a sud si muovono sindaci, personalità del mondo economico e imprenditoriale in quella direzione. Non è un caso che, nella tappa torinese di presentazione del libro dell’ex premier, Il Mostro, in prima fila fosse seduto Paolo Damilano. Ora sta a Calenda, decidere se puntare ad eleggere qualche parlamentare o ad essere determinante nella creazione di uno spazio comune, dove la leadership si conquista sul campo, magari con le primarie o, in modo generoso, lasciando spazio a una figura di garanzia per tutti. Allo stesso tempo, in casa renziana, qualche dirigente dovrebbe tagliare il cordone ombelicale con la sinistra e capire che questo terzo polo potrà dialogare con il Pd così come con Forza Italia, senza preclusioni, senza ideologie.

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