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Il lavoro distrutto dalla sinistra riformista. Salari e contratti, un Paese allo sbaraglio

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Chi ha bisogno delle statistiche o delle tabelle dell’Ocse per rendersi conto del pessimo stato delle retribuzioni in Italia e della compressione del potere d’acquisto delle famiglie o è in malafede oppure è uno sciocco. Di sciocchi nel Palazzo ne vedo pochi. Lo sbriciolamento dei diritti del lavoratore è il risultato di un processo cosiddetto riformista ma che in realtà ha solo allargato i divari tra lavoratori, tra lavoratori e quadri, tra uomini e donne, tra giovani e adulti, tra aree geografiche. Questo progetto è stato disegnato ad arte facendo leva su due parole tanto false quanto suadenti: riformismo e modernità. I riformisti - tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra - costituiscono il cavallo di Troia dei modernisti, etichetta pop per dire neoliberisti.

 

Basta stare nel Paese, basta parlare con le persone in carne ed ossa per capire il subbuglio italiano: la progressiva riduzione degli stipendi, lo sfibramento dei diritti del lavoratore dipendente o autonomo. Non passava governo che non toccasse una riforma del lavoro, accompagnata da una letteratura tossica di falsi miti: i giovani non vogliono il lavoro fisso, il contratto a tempo indeterminato è il retaggio di un mondo che è cambiato; aprire una partita iva significa essere imprenditori di se stessi; la flessibilità e la formazione sono la salvezza di chi esce dal mondo del lavoro, il lavoratore sarà sempre più in concorrenza con app e intelligenza artificiale, e via dicendo. 

Tutte fesserie, tutte menzogne, vergate dagli stessi che non mollano le loro posizioni di potere nemmeno un secondo. Il mondo normale è spaccato in guerre e in competizioni che si giocano tutte nella parte medio bassa della società. Il dimagrimento del ceto medio è l’erosione del risparmio cumulato, è la messa all’angolo di una fetta enorme della popolazione cui viene negato il diritto di esistere. Di contro gli alti dirigenti e i manager allungano i loro mega stipendi. 

E’ inammissibile che nelle famiglie ci sia la competizione tra genitori e figli per un contratto di lavoro vero. Non c’è niente di moderno nel ritardare l’inserimento nel lavoro dei giovani condannati alla formazione perenne o a lavori sottopagati. Non è un mondo solido quello per cui l’ultima spiaggia diventa andare a fare il fattorino nella lunga filiera feudale delle consegne a domicilio di qualsiasi cosa. Ed è ipocrita - come sta facendo ora il governo sostenuto anche da Salvini - avere prima il ministro del Turismo Massimo Garavaglia e subito dopo quello dell’Interno Luciana Lamorgese aprire al decreto flussi solo perché non si sa come giustificare l’ondata di sbarchi. 

 

Le chiacchiere si fermano di fronte ai fatti. I cinquantenni sono ricattati col vaccino, ultima prova per vedere quanto sei disposto a cedere di fronte all’arroganza del Potere: e a 50 anni ti vaccini perché se perdi il lavoro sei fuori. Il personale sanitario, sano, viene tenuto fuori dall’organico se non piega la testa. Gli indebitati o accettano lavori e paghe “moderne” oppure saranno stritolati da banche e aguzzini. I giovani o accettano la formazione a basso costo e a zero diritti oppure ci sarà uno straniero disponibile sul mercato. I piccoli imprenditori non possono assumere, non possono crescere perché nessuno li protegge dai furbi e dai colossi.

Questo Paese che il 2 giugno consumava la liturgia della parata, presto si girerà male. Scenderà in piazza. E nessuno potrà nascondere le proteste dei balneari, dei pescatori, dei ristoratori, dei giovani disoccupati, dei cinquantenni licenziati e condannati alla invisibilità, dei tassisti minacciati da Uber, del commercio cancellato da Amazon e via dicendo. Di fronte a questa Italia in profonda sofferenze, la Lamorgese non potrà più schierare il suo braccio armato come ha fatto in questi mesi. Stavolta il moto ondulatorio arriverà a Palazzo Chigi. E spazzerà tutti.

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