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Immigrati in nero al lavoro nelle vigne di Sting

Sting

Marzio Laghi
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Quattro euro in nero per lavorare una giornata nelle vigne del Chianti. Centinaia di profughi africani giunti in Italia sperando in una vita migliore venivano sfruttati così, anche nelle proprietà del celebre cantante Sting, che però era all'oscuro di tutto. Ieri al'alba uomini della Digos e della Guardia di finanza di Prato, con la collaborazione del corpo forestale dello Stato e della Polstrada, hanno eseguito undici ordini di custodia cautelare. È la seconda tranche dell'inchiesta sul caporalato conclusa lo scorso maggio con una dozzina di avvisi di garanzia e una trentina di perquisizioni tra Prato e il Chianti. Allora finì in manette un imprenditore pakistano, Tariq Sikander, ritenuto l'anello di congiunzione tra i lavoratori a nero e le aziende vitivinicole. Cinque le persone finite agli arresti domiciliari tra Firenze, Perugia e Modena: tre imprenditori del vino, un investigatore privato e un faccendiere. Sequestrate diverse società, tutte riconducibili alla Coli spa di Tavarnelle Val di Pesa, azienda vitivinicola con fatturati stellari. Furono coinvolti sia italiani, sia pakistani. I reati contestati dai pm Sangermano e Canovai sono associazione per delinquere finalizzata a una serie di reati tra i quali l'intermediazione illecita nel reclutamento di cittadini stranieri, truffa aggravata per il conseguimento di finanziamenti pubblici, interramento di rifiuti speciali, false fatture, frode in esercizio del commercio perché il vino Chianti che approdava sul mercato era in realtà prodot- to, stando all'accusa, con uve pugliesi e siciliane in quantità superiore al massimo consentito dai «disciplinari», come avrebbero confermato le analisi sul prodotto.

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