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Israele ritira le truppe da sud Gaza. Cosa c'è dietro la mossa a sei mesi dall'attacco di Hamas

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Nel giorno che sancisce i 6 mesi dall'inizio della guerra tra Israele e Hamas, l'esercito di Tel Aviv ha ritirato tutte le proprie truppe che si trovavano nel sud della Striscia di Gaza. Solo la Brigata Nahal rimarrà nell'area come forza stazionaria, per impedire ai palestinesi sfollati di ritornare a nord dell'enclave. Già dopo poche ore però, alcuni degli abitanti di Khan Younis che erano stati costretti a evacuare verso il confine con l'Egitto, hanno iniziato a fare ritorno nella loro città, ridotta ormai solo a macerie. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha subito infranto le speranze di chi vedeva nel ritiro un passo verso una tregua. "Ho detto chiaramente alla comunità internazionale: non ci sarà nessun cessate il fuoco senza la restituzione degli ostaggi", ha assicurato, sottolineando che "siamo determinati a porre fine alla guerra con una vittoria completa, a restituire tutti i nostri rapiti, a completare l'eliminazione di Hamas nell'intera Striscia, compresa Rafah, e a garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia". La Casa Bianca ha fatto sapere tramite il suo portavoce John Kirby di ritenere che il ritiro parziale "sia in realtà solo un momento di riposo e di rifornimento per queste truppe che sono state sul terreno per quattro mesi", escludendo che possa essere il segnale "di una nuova operazione in arrivo".

 

Ulteriori sviluppi potrebbero arrivare dal vertice al Cairo, in Egitto, a cui partecipa anche una delegazione israeliana composta dal capo del Mossad, Dadi Barnea, dal capo dello Shin Bet, Ronan Bar, e dal maggiore generale Nitzan Alon, responsabile della squadra d'intelligence. Fonti egiziane hanno riferito che sul tavolo c'è la possibilità di un cessate il fuoco temporaneo a Gaza durante la festività di 3 giorni dell'Eid al-Fitr, che segna la fine del mese di Ramadan e che inizierà martedì.

Dall'Iran sono nel frattempo arrivate nuove minacce di ritorsioni per la morte di sette guardie rivoluzionarie in un raid aereo che lunedì scorso ha colpito la sede consolare di Teheran a Damasco, in Siria. "Le ambasciate del regime sionista non sono più sicure", ha affermato il Generale Yahya Rahim Safavi, consigliere anziano di Ali Khamenei. "Siamo pronti per una risposta a qualsiasi scenario contro l'Iran", ha ribattuto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

 

Intanto a Roma è arrivato in visita il ministro degli Esteri dello Stato ebraico Israel Katz. In attesa di essere ricevuto domani in Vaticano dal Papa con alcuni parenti degli ostaggi ancora detenuti a Gaza, Katz ha incontrato in Farnesina il ministro degli Esteri Antonio Tajani e ha partecipato alla riunione operativa sull'iniziativa italiana 'Food for Gaza'. Tajani si è detto "soddisfatto" per le garanzie ottenute dall'omologo sul sostegno israeliano al progetto, definito "un modello". "È stato compiuto un importante passo in avanti, perché con il sostegno del governo israeliano potremo più facilmente far arrivare i beni alimentari alla popolazione civile in un momento particolarmente difficile", ha aggiunto il vicepremier che ha ribadito a Katz la contrarietà dell'Italia a una possibile operazione militare a Rafah.

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