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Russia, il Giorno della Vittoria a metà: Putin sottotono alle celebrazioni

Pietro De Leo
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Dalla volontà di potenza all’istinto di sopravvivenza. È un Vladimir Putin in tono minore quello che ieri ha presieduto la Giornata della Vittoria a Mosca, che celebra il trionfo russo nella seconda guerra mondiale. Una ricorrenza che il leader del Cremlino aveva negli anni plasmato al fine di renderla pilastro di un sentimento identitario con cui cementare la propria leadership. E, tra gli aspetti principali, vi era proprio la sfilata del "Reggimento immortale", ossia la processione laica in cui i cittadini sfilano con le foto dei loro familiari che parteciparono al Secondo Conflitto. In questa tradizione, Putin era solito partecipare sorreggendo un’immagine di suo padre. Pure lo scorso anno, quando l’invasione in Ucraina era appena iniziata e già mostrava degli affanni, la sfilata si tenne, partecipazione di Putin compreso. Quest’anno, invece, non se n’è fatto nulla. Trapela per paura di attentati terroristici, ma non è escluso che la vera paura fosse quella di vedere migliaia di persone sfilare, nelle varie città, con le foto dei figli, nipoti, mariti o fratelli morti in Ucraina.

 

 

È un leader con qualche fianco scoperto, quel che è giunto al 9 maggio. Anche sul piano interno. Proprio nelle ore della ricorrenza, infatti, il fondatore della società Wagner, Evgeny Prigozhin, che sta si costruendo una vera e propria iconografia come una sorta di Capo di Stato Maggiore parallelo, si è di nuovo scagliato contro l’esercito, accusato i militari di abbandonare il campo a Bakhmut, punto più caldo del fronte. E di nuovo è tornato a scagliarsi contro le autorità, soprattutto per via della fornitura delle munizioni, al centro di una querelle qualche giorno fa, che pareva superata. Invece non è così, stando a quanto denunciato dal numero uno della società di contractors: «ci hanno semplicemente mentito», ha accusato, sottolineando che le forniture ammontano ad appena «10% di quanto richiesto». Il suo video non può che essere letto in chiave politica. Pur facendo salva la fedeltà a Putin, su cui insiste nelle sue uscite pubbliche, Prigozhin torna ad attaccare l’esercito e le autorità che vi sovrintendono proprio nel giorno in cui (anche) tutto questo viene celebrato. Un vulnus, dunque, una ferita ed una lesa maestà non tanto della persona Putin, ma del racconto costruito attorno alla sua leadership. In realtà, c’era stata un’altra premessa infausta, ossia quell’attacco con due droni arrivati sopra al Cremlino, avvenuto qualche giorno fa. False flag o meno, quei fotogrammi contengono, come effetto collaterale, l’immagine plastica di un potere che si è riscoperto vulnerabile. Nell’epoca in cui anche le dittature viaggiano sull’onda delle immagini, tutto questo si è riflettuto sulla parata di ieri.

 

 

Durata neanche un’ora, con un discorso di Vladimir Putin giunto alle conclusioni in una decina di minuti. Il leader russo ha spolverato il copione del vittimismo, del ribaltamento della realtà sull’invasione in Ucraina, dipingendo la Russia come Paese aggredito e strumento di un Occidente corrotto che vuole espandersi a spese della Russia. «Sembra che abbiano dimenticato a cosa hanno portato le insensate pretese di dominio globale dei nazisti. Hanno dimenticato chi ha distrutto quel mostruoso male totale, chi si è schierato dalla parte della loro terra natia e non ha risparmiato la propria vita per la libertà dei popoli d’Europa». E ancora, dice Putin, «le elite globaliste occidentali continuano a parlare della loro eccezionalità, a mettere le nazioni l’una contro l’altra, a dividere la società, a provocare conflitti sanguinosi e colpi di Stato, a seminare odio, russofobia, nazionalismo aggressivo, distruggere la famiglia e i valori tradizionali che ci rendono umani. Fanno tutto ciò per continuare ad imporre la loro volontà, i loro diritti e le loro regole ai popoli». Tutto questo, secondo il leader del Cremlino, «in realtà è un sistema di saccheggio, violenza e soppressione». Dunque, è la tematica dell’assedio che convoglia passato e presente, nello spericolato tentativo di unire la difesa di Leningrado all’ "operazione militare speciale". Così come chiamare non solo i militari, ma il popolo russo al compimento del destino comune, che invece è il destino individuale, quello di Putin, con la sua leadership e il suo grumo di potere. «La nostra civiltà - scandisce - è in un punto di svolta cruciale e una guerra è di nuovo scatenata contro la Russia, ma il Paese sarà di nuovo in grado di garantire la propria sicurezza».

 

 

Non manca, poi, una captatio benevolentiae nei confronti del senior advisor in questa crisi: «ricordiamo e onoriamo l’impresa dei soldati cinesi nella lotta contro il militarismo giapponese», ha detto Putin. Per quanto in questa giornata di fiacca celebrazione, altrettanto fiacchi sono i rivoli internazionali, data la presenza soltanto dei leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan , Armenia e Uzbekistan, oltre al Presidente bielorusso Lukashenko che neanche si ferma al pranzo solenne offerto da Putin pare per motivi di salute. Secondo un giornale di opposizione del suo paese sarebbe stato portato ai piedi dell’aereo in ambulanza. Altra pagina, quindi, di un racconto storto.

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