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Qatargate, il fondatore di Fight Impunity: Panzeri come dottor Jekyll e mr Hyde

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Pierantonio Panzeri, l’ex eurodeputato del Pd prima e di Articolo Uno poi, agli arresti in Belgio per presunta corruzione, era come «dottor Jekyll e mister Hyde». È caduto dalle nuvole Gianfranco Dell’Alba, uno dei quattro fondatori di "Fight Impunity", l’associazione creata a Bruxelles dall’ex sindacalista di Riviera d’Adda, quando ha appreso dai giornali che l’ex europarlamentare è accusato nell’ambito dell’inchiesta condotta dal magistrato belga Michel Claise. E giura all’Adnkronos di non aver «mai» avuto il minimo sospetto che dietro la Onlus di Panzeri, che ha contribuito a fondare ma in cui non aveva incarichi operativi, si potessero celare rapporti organici (sempre che le accuse siano confermate) con il Qatar e con il Marocco.

Dell’Alba, che è stato eurodeputato a sua volta e anche capo della delegazione di Confindustria a Bruxelles (fino al 2017, quando perse l’incarico per un bonifico da 500mila euro fatto seguendo le indicazioni di una e-mail fasulla, riportarono le cronache), è attivo da tempo nel non profit: «Sono cose che faccio a titolo gratuito - spiega - che nella mia vita ho sempre fatto. C’è gente che, come passione della sua vita, fa il volontario in Africa, oppure aiuta in altre operazioni sociali. Io mi sono sempre dedicato alla causa dei diritti umani e, effettivamente, alla lotta contro l’impunità. È stata proprio una delle caratteristiche degli anni passati: ho fatto la campagna per il Tribunale Penale Internazionale, avevo questa idea che effettivamente una delle grandi conquiste da fare fosse abbattere la cultura dell’impunità. Quindi, quando Panzeri ha detto di voler fare una Ong che si chiama "Fight Impunity", la ragione sociale di questa associazione mi era parsa del tutto onorevole».

 

 

 

«Anche perché - continua Dell’Alba - mi piaceva un altro aspetto di questa idea, alla quale ho sempre creduto molto: di marcare la natura dell’associazione attraverso un rapporto annuale, perché il rapporto annuale sedimenta progressi, regressi, fa la fotografia e, in qualche modo, qualifica l’associazione. Il rapporto di "Amnesty" è citato perché dice certe cose, quello di Reporters sans Frontières dà il quadro di quanti giornalisti muoiono ogni anno sul campo, e così via. Mi sembrava una buona idea».  È per questo, prosegue, che «ho contribuito a questo atto fondatore. Poi, ovviamente, sono rimasto senza cariche all’interno della struttura. Come fondatore, due o tre volte l’anno avevamo delle riunioni in cui Panzeri faceva lo stato dell’arte, dei progetti in corso, soprattutto legati al rapporto, soprattutto conferenze». Bisogna tenere conto, aggiunge, che l’Asbl (l’equivalente delle nostre Onlus) di Panzeri «è nata nel 2019, poi c’è stato il Covid, per cui in realtà le attività pubbliche che ora si vedono un po' dappertutto sono più legate all’ultimo anno e mezzo, perché almeno all’inizio c’è stata la pausa Covid».  «Due volte - spiega - mi è stato chiesto di presentare io una parte del rapporto al Parlamento Europeo, perché era riuscito a incardinare un’occasione di presentazione del rapporto. C’era un’audizione alla commissione Diritti Umani, dove avvengono presentazioni di molte Ong. La presentazione di questo rapporto sulle impunità era perfettamente in linea con le finalità di discussione sulle tematiche specifiche. A me il tema aveva sempre appassionato, e quindi per due volte ho fatto questa presentazione. Basta: questa è stata la mia partecipazione a questa associazione».

«Forse sono stato naif - dice ancora Dell’Alba - ma giuro su quanto ho di più caro, il sospetto che potessero esserci dietro quelle potenze straniere, per fare l’opposto di quello che noi andavamo sostenendo, non mi è mai passato per l’anticamera del cervello. Lo dico con tutta franchezza e con tutta onestà».  «Anche perché - precisa - non è che avessi particolari consuetudini con Panzeri: ovviamente ci conosciamo da diversi anni, mi faceva piacere e ammiravo il fatto che riuscisse a fare questa iniziativa. Poi gli eventi erano sempre legati ai diritti umani in genere: non ne ho mai visto uno dedicato al Qatar o al Marocco». Insomma, Dell’Alba non sospettava di nulla: «Ha presente dottor Jekyll e mister Hyde? Sono quelle cose che, quando uno le vive direttamente, rimane di sasso. Molta gente che ho incontrato in questi giorni mi ha detto "ma hai visto cosa è successo? Ma chi l’avrebbe mai detto". In questo momento, vivo lo sconcerto di scoprire un mondo che non potevo realizzare potesse esserci, in qualche modo». Mai avuto il minimo sospetto? «No, devo dire di no».

«Poi adesso - continua Dell’Alba - siccome sta uscendo di tutto, ho visto che aveva fatto una dichiarazione...ma dire adesso che avevo il minimo sentore che lui stesse portando l’associazione in una determinata direzione, orientandola in quel modo...anche perché io non ero amministratore, non avevo accesso al bilancio o a cose del genere: ascoltavo quello che veniva relazionato e le relazioni che ascoltavo erano tutte di ordinaria amministrazione. Non c’è stata una relazione sulla politica da seguire rispetto a certi Paesi». Inoltre, spiega Dell’Alba, "Fight Impunity" «aveva sì sede in Rue Ducale 41», nella stessa palazzina di "No Peace Without Justice", cui l’ex eurodeputato radicale è tuttora legato, «ma era una sede di servizio. Non è che aveva un ufficio: era solo se aveva da fare una riunione o dei libri da distribuire, si usava quella struttura lì, ma non c’era un’attività quotidiana in quel luogo». Insomma, tutta questa storia per Dell’Alba, che non aveva incarichi nell’associazione che ha contribuito a fondare il 25 settembre 2019, nello studio del notaio bruxellese Jean Van Den Wouwer, in square de Meuus (a due passi dal Parlamento Europeo), è stata una sorpresa. «Uno poi si chiede: "ma allora sono io che sono fesso?". Ma purtroppo - chiosa - può succedere».

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