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Iran, proteste senza fine per la libertà. Il regime prova a mettere il bavaglio con i processi

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Il movimento di protesta, che in Iran chiede più libertà e la fine della Repubblica islamica, continua, nelle piazze e nelle università, nonostante l’intensificarsi della repressione e l’inizio dei processi contro gli arrestati in quelle che il regime definisce «rivolte» fomentata dai «nemici» Israele e Stati Uniti. Le proteste - scatenate dall’uccisione in custodia della polizia per la morale della 22enne Mahsa Amini il 16 settembre - sono alla loro settima settimana consecutiva, nonostante il monito delle autorità a non scendere in strada. Di recente, i funerali delle vittime della repressione e le loro commemorazioni alla fine dei 40 giorni di lutto, sono diventate occasioni per raduni e manifestazioni anti-governative, mentre le università sono il nuovo epicentro della contestazione. 

 

 

I sit-in negli atenei si svolgono su base quotidiana e interessano diverse zone del Paese, tra cui Teheran e Isfahan. Gli studenti scandiscono slogan come «morte al dittatore» e infrangono le severe regole della separazione di genere, mangiando insieme, ragazzi e ragazze, nelle mense o nei cortili. Video girati alla facoltà di Matematica dell’Università Beheshti di Teheran, e rilanciati da Radio Farda, mostrano gruppi di studenti gridare «Da Zahedan a Teheran, il sangue di tutto l’Iran». Nel mirino delle forze di sicurezza ci sono anche licei e scuole: secondo l’agenzia Human Rights Activists News Agency, almeno quattro studenti della scuola media Bahonar, nella città di Sanandaj, sono stati arrestati e nella sola capitale le autorità hanno annunciato processi pubblici contro circa 1.000 persone incriminate per i disordini.

 

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