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Norme anti emissioni, la maggioranza Ursula va in pezzi

Carlantonio Solimene
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La «maggioranza Ursula» va in fumo a Strasburgo sul pacchetto green presentato dalla Commissione europea e al quale la presidente von der Leyen aveva legato profondamente il suo mandato. In una seduta da psicodramma, infatti, l’Europarlamento ha bocciato alcuni dei punti qualificanti del programma «Fit for 55» che mirava a ridurre le emissioni inquinanti negli Stati dell’Unione. A essere approvato, invece, è il discusso articolo che vieta la vendita di tutti i veicoli a diesel e benzina a partire dal 2035. Nonostante la contrarietà di ampi settori del Partito Popolare e dei raggruppamenti di destra, il provvedimento è passato con 339 voti favorevoli, 249 contrari e 24 astenuti. Gli eurodeputati italiani si consolano parzialmente con il sì all’emendamento bipartisan che per adesso permette una deroga alla transizione per i piccoli produttori, quelli che cioè immatricolano tra le mille e le diecimila auto l’anno. Una modifica pensata sostanzialmente per salvaguardare la «motor valley» italiana, e cioè sostanzialmente Ferrari e Lamborghini.

Ora la proposta andrà negoziata con i singoli Stati europei, ma ha già provocato reazioni contrastanti. Per Matteo Salvini della Lega si tratta di un «regalo alla Cina», mentre i sindacati hanno subito chiesto la convocazione di un tavolo a Palazzo Chigi per decidere come gestire la transizione. Per la Fim Cisl l’attuazione del provvedimento mette a rischio 75mila posti di lavoro nel Paese. Lo stesso governo, peraltro, si era dimostrato perplesso di fronte alla portata del provvedimento, con i ministri Giorgetti (Sviluppo) e Cingolani (Transizione ecologica) propensi ad attuare delle misure meno rigide.

È sul resto del pacchetto, però, che si è registrata la spaccatura maggiore. Il Parlamento di Strasburgo ha infatti respinto la riforma del sistema Ets, quello che prevede lo scambio delle quote di emissioni fra i Paesi, e l’introduzione della Carbon Tax sulle importazioni dai Paesi che non rispettano gli standard climatici: due misure che erano il cuore del «Fit for 55» e che sono tornate in Commissione Ambiente. Una bocciatura alla quale ha contribuito anche il gruppo dei Socialisti, contrari agli emendamenti che erano stati introdotti dal Ppe con l’appoggio dell’estrema destra. Alla fine, nel voto contrario che ha mandato il fumo il provvedimento, la sinistra si è saldata con i gruppi di destra, tra cui quello di Marine Le Pen. Tutto ciò nonostante fino a poche ore dal voto il segretario del Pd Enrico Letta avesse garantito il sì al provvedimento accusando il centrodestra di tradire la transizione green. Da qui lo scambio di accuse, con Letta a rivendicare la vocazione «ecologica» del suo partito contro le «destre nero fossile», e Meloni a rinfacciare «la figuraccia» al leader dem.

 

 

 

 

In realtà non era stata solo la destra a criticare l’impostazione iniziale del «Fit for 55». Anche Carlo Calenda di Azione aveva attaccato il Pd: «Enrico Letta pensa davvero che la gestione di cambiamenti epocali possa essere ridotta a questo? Dal Pd non abbiamo visto una proposta su "come" far accadere i cambiamenti gestendone le conseguenze. Solo slogan. Non è politica, è populismo». Ora, con il pacchetto che torna in Commissione, i tempi si allungheranno. Di certo, sarà impossibile che se ne riparli prima del prossimo luglio.
 

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