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Guerra in Ucraina, no all'accordo sull'embargo al petrolio. L'Ungheria spacca l'Unione europea

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Embargo al petrolio, sanzioni al patriarca Kirill e ai ’macellaì di Bucha, stop alle consulenze Ue e alle trasmissioni di tre emittenti tv ed esclusione da Swift della più grande banca russa. Sono questi i contenuti del sesto pacchetto di sanzioni proposto dalla Commissione europea contro il Cremlino. A tenere banco è ancora la questione del petrolio. La presidente Ursula von der Leyen ha annunciato uno stop alle importazioni di petrolio in due fasi: entro sei mesi si elimineranno le forniture del greggio russo, mentre per i prodotti raffinati bisognerà aspettare la fine dell’anno. Il divieto sarà totale e riguarderà sia il petrolio che arriva dal mare che quello via oleodotto. Per far passare la misura da palazzo Berlaymont si è pensato di introdurre delle eccezioni ai paesi più recalcitranti, anzi principalmente per l’ Ungheria, a cui si è aggiunta la Slovacchia, forse per non dare adito alle critiche di un trattamento «ad nationem». Le eccezioni, che riguardano una fase di uscita più lunga (il phasing out), sono state previste per «certi Stati membri che, per la loro situazione geografica e alta dipendenza dagli oleodotti dalla Russia, sono in una specifica situazione», ha detto il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer. La Commissione ha previsto delle deroghe fino al 31 dicembre 2023, stando a quando trapela da fonti diplomatiche, ovvero fino a esaurimento dei contratti in corso ma sempre entro quella data, con il divieto di sottoscrivere nuovi contratti dall’entrata in vigore delle sanzioni.

 

 

 

 

L’Ungheria ha già puntato i piedi su una proposta che, seppur non nel dettaglio, è stata concordata con gli Stati negli incontri bilaterali tra il capo di gabinetto di von der Leyen e i rappresentanti degli Stati. Il piano di Bruxelles «non può essere sostenuto nella sua forma attuale. Con tutta la responsabilità, non possiamo votarlo», è stato il commento affidato a Facebook del ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, corroborato dalle parole del portavoce del governo di Budapest che ha bollato le sanzioni perché non c’è «alcuna garanzia su come potrebbe essere gestita una transizione e su come sarebbe garantita la sicurezza energetica». Posizioni che, secondo fonti diplomatiche, potrebbero nascondere solo un «tatticismo» che si dissolverà con un via libera entro la settimana. Ma non sarebbe solo l’ Ungheria ad aver sollevato dubbi e lamentato alcune difficoltà sui tempi di uscita dall’import di oro nero russo. Altri Paesi, invece, tra cui la Grecia che ha un ampio accesso al mare, hanno criticato il divieto di trasportare il petrolio russo da navi battenti bandiera degli Stati Ue. A poche ore dall’annuncio di von der Leyen gli ambasciatori dell’Ue si sono riuniti nel Coreper, l’organismo dei rappresentanti permanenti a Bruxelles, senza però arrivare a un accordo finale. Anzi, come è comprensibile per un documento ricevuto solo alla mezzanotte precedente l’incontro e di tale complessità, gli ambasciatori hanno richiesto più tempo per analizzare le misure. In ogni caso, da quanto si apprende, c’è stato un primo consenso generale sulla parte finanziaria e sulla lista di nomi, patriarca della Chiesa ortodossa russa incluso. La Presidenza francese del Consiglio dell’Ue potrebbe convocare un Coreper straordinario domani pomeriggio ma appare probabile che l’approvazione del pacchetto slitti a venerdì quando era già calendarizzato da tempo un altro Coreper.

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