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Ormai anche in Libia siamo fuori dai giochi

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Le Ong pronte a far sbarcare in Italia nuovi disperati

Luigi Bisignani
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Caro direttore, la prova  dell'inadeguatezza del Premier Conte anche sulla scena internazionale risiede non tanto nelle figuracce con Bruxelles, dove si prepara ormai l'invio della Troika per risanare i conti, ma in una telefonata di martedì scorso tra lo zar Vladimir Putin e la cancelliera Angela Merkel. I due hanno parlato della situazione in Libia, senza il benché minimo riferimento all'Italia che, a Tripoli, negli ultimi trent'anni si era conquistata un peso strategico importante. Ora la partita la giocano altri Paesi: non solo Russia e Germania, ma anche Francia, Egitto e, soprattutto, Turchia. La nostra ambasciata, l'unica ancora aperta, è rimasta solo un coraggioso avamposto in attesa di istruzioni che non arrivano da Palazzo Chigi. E a poco servono le richieste dei nostri servizi segreti a “Giuseppi” per poter rientrare in partita, magari cercando di infiltrare qualche informatore tra i trafficanti di morte per prevenirne le mosse. Il Governo italiano non aiuta neppure più la Guardia Costiera libica, alla quale aveva promesso collaborazione per presidiare le coste: i gommoni che stanno per partire non vengono più considerati un nostro problema, sebbene su queste famigerate carrette del mare potrebbero imbarcarsi anche quei mercenari, siriani e jihadisti spediti in Libia da Erdogan. I dispacci da Tripoli sono drammatici: incuranti, come sono, perfino del Ramadan iniziato ieri, e con il prezzo del petrolio sceso sotto i 20 dollari al barile, i trafficanti di uomini sono pronti a riprendere il mare e a riversare sulle nostre coste migliaia di disperati. Le Ong in navigazione in quel tratto di mare si stanno preparando a raccogliere quei viaggiatori della speranza per portarli, in tempo di Covid-19, in acque italiane. Una fonte autorevole dell'intelligence ha pure aggiunto un particolare inquietante: la posizione esatta dei gommoni in avvicinamento verso l'Italia verrà trasmessa alle navi delle Ong da una centrale telefonica che si trova in Francia, il Paese alleato del generale Haftar che, avendo perduto diverse posizioni, sta attaccando Tripoli. Lì si trova, sotto attacco, il Governo di Accordo Nazionale della Libia riconosciuto di Al-Sarraj, appoggiato con uomini e mezzi dalla Turchia di Erdogan, che sta giocando da protagonista nella crisi libica. Ma come mai l'Italia ora non conta più nulla? Il premier Conte, in perfetta linea con il suo modus operandi autoriferito, ha voluto intestarsi il dossier libico, esautorando Farnesina, Ministero degli Interni e intelligence italiana. Ha voluto giocare una partita “alla Alberto Sordi” con Sarraj e Haftar e il risultato è stato solo quello di indispettirli. Separatamente con ciascuno di loro, ha usato parole suadenti e latinorum,  picchetti d'onore, tappeti rossi e, secondo testimonianze dirette, anche promettendo aiuti concreti. Non ha funzionato, anzi è stato un disastro. E naturalmente quegli aiuti, finanche solo di medicinali, non sono mai arrivati. Pare persino che, credendosi più abile di Churchill, lasciasse ad intendere agli astanti un rapporto molto friendly con entrambi, buttando qua e là frasi ammiccanti come “ora chiamo Vladimir” oppure “sento ‘Anghela' appena uscite”. Nulla di tutto ciò, ça va sans dire, è mai successo, però così facendo ha permesso al turco Erdogan, che “Giuseppi” proprio non sopporta, di guadagnare sempre più spazio e di usare la carta “Libia” come arma di pressione verso l'Europa. Nel frattempo, Emmanuel Macron appoggia Haftar per poter mettere le mani sul pregiatissimo petrolio libico, anche se fortunatamente l'Eni può continuare a stare abbastanza tranquilla, gestendo sul territorio libico l'intera rete distributiva che nessuno dei contendenti può permettersi di far saltare. Sullo sfondo di questo scacchiere internazionale in cui l'Italia è assente, al nostro Presidente del Consiglio è stato permesso anche di cambiare il direttore dell'AISE, il generale Luciano Carta, che, dopo un anno e mezzo di apprendistato, stava svolgendo con autorevolezza il suo ruolo. A sentire le voci di Forte Braschi, aveva però un problema: non era in sintonia con un suo vecchio sottoposto, il caro generale Gennaro Vecchione che Conte ha preteso come capo del DIS. Ed ecco che dalla toga dell'avvocato degli italiani spunta come candidato per dirigere l'AISE l'ammiraglio Carlo Massagli, un tarantino di 61 anni parcheggiato da tempo a Palazzo Chigi come consigliere militare senza alcuna esperienza del settore, ma con il pregio di essere in grande sintonia con Vecchione, per risarcirlo della mancata nomina a Capo di Stato Maggiore della Marina alla quale potrebbe ancora invece  autorevolmente aspirare. Su questo ammiraglio riservato e inappuntabile resta storica una simpatica battuta del solito Rocco Casalino: “Come indossa lui la divisa bianca non la indossa nessuno”. Ma almeno questa volta, sembra che il nostro Presidente della Repubblica non lo  permetterà. Anzi, pare che il Quirinale voglia suggerire al Premier, sempre che rimanga in sella, di abdicare alla delega dei servizi, della quale è perdutamente innamorato stante la sua ossessione per i complotti, per riporla nelle mani di uomini di esperienza come, ad esempio, Marco Minniti, che come pochi ha dimostrato di conoscere l'affaire libico. In questo modo, forse, si eviterebbe una nuova stagione di sbarchi.

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