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Wall Street, si chiude un anno da incubo: mai così tante perdite dal 2008

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Per Wall Street si chiude il peggior anno dal 2008, quello della grande crisi finanziaria globale. Quest’anno a far calare le quotazioni delle borse è stata la Fed con la sua politica monetaria molto aggressiva di rialzo del costo del denaro, l’inflazione alle stelle, la guerra scatenata dalla Russia nei confronti dall’Ucraina e le rinnovate preoccupazioni per i casi di Covid in Cina. I tre principali indici di Wall Street hanno registrato il loro primo anno in ribasso dal 2018 quando si concludeva l’era della politica monetaria espansiva della Fed. Il rialzo dei tassi da parte della Fed ha aumentato i rendimenti dei Treasury statunitensi e reso le azioni meno attraenti. A New York il Dow Jones ha perso lo 0,22% a 33.147 punti, il Nasdaq lo 0,11% a 10.466 punti, lo S&P 500 lo 0,25% a 3.839 punti. Quest’anno la banca centrale Usa è intervenuta per ben sei volte: la prima a marzo con un rialzo dello 0,25% (prima volta dal 2018), poi a maggio (+0,50%), a giugno (+0,75%), luglio (+0,75%), settembre +0,75%, novembre +0,75% e dicembre (+0,50%).

 

 

«Le principali ragioni» del calo dei listini «derivano da una combinazione di eventi: l’interruzione della catena di approvvigionamento in corso iniziata nel 2020, il picco dell’inflazione, il ritardo dell’azione della Fed», ha affermato Sam Stovall, chief investment strategist di CFRA il quale cita anche le tensioni geopolitiche prima fra tutte l’invasione russa e le mire cinesi su Taiwan. I titoli cosiddetti ‘growth’, quelli che hanno garantito grandi guadagni agli investitori negli anni passati, sono stati messi sotto pressione dall’aumento dei rendimenti dei Treasury per gran parte del 2022 e hanno sottoperformato, invertendo una tendenza che durava da molto tempo. 

 

 

Apple, Alphabet, Microsoft, Nvidia, Amazon, Tesla sono stati tra i freni alla crescita dell’S&P 500. L’indice ’growth’ S&P 500 è sceso di circa il 30,5% quest’anno, mentre l’indice ’valuè del 7,7%, con gli investitori che si sono buttati su settori ad alto rendimento e dividendi costanti come i titoli energetici. L’energia ha registrato guadagni stellari (+58%) dovuti all’impennata del prezzo del petrolio. Negli Stati Uniti c’è stato un forte rallentamento anche del mercato immobiliare con i valori delle case diminuiti rispetto ai massimi di inizio anno. Influendo sull’approccio mentale delle persone e sulla loro propensione alla spesa. Ora gli investitori guardano ai conti delle società che potrebbero riservare cattive sorprese. Molti analisti infatti credono che l’azione di forza messa in atto dal numero uno della Fed, Jerome Powell, potrebbe portare l’economia statunitense in recessione anche se, bisogna ammettere, i dati macro sono ancora positivi. Se gli Usa dovessero andare in recessione gli effetti si sentirebbero anche in Borsa per questo tra gli investitori c’è assoluta cautela. Allo stesso tempo, i segnali di resilienza economica stanno alimentando le preoccupazioni che i tassi potrebbero rimanere più alti per molto tempo. Gli osservatori puntano su un rialzo di 25 punti base nella riunione di febbraio, con tassi attesi a un massimo di 4,97% entro la metà del 2023.

 

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