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Il Paese è in agonia. La Pa "blocca" 115 miliardi di spesa. Ecco l'ultimo paradosso

Carlantonio Solimene
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Debiti ai fornitori mai saldati. Grandi cantieri bloccati. Medie e piccole opere rinviate a tempi migliori. La crisi economica da Coronavirus picchia ferocemente anche sulle spese della Pubblica amministrazione che, di fatto, sono completamente bloccate. Con il risultato che nell'economia reale non vengono pompati 115 miliardi di euro che sarebbero utilissimi per permettere al Paese di respirare in questi momenti drammatici. E, invece, restano nelle casse dello Stato. E' la fotografia emblematica scattata dalla Cgia di Mestre che ha deciso di calcolare quanto pesi sul sistema produttivo la paralisi di una fetta della spesa pubblica. «Tra i debiti commerciali non ancora onorati (53 miliardi di euro) e la mancata apertura di tantissimi cantieri relativi a infrastrutture strategiche e a opere pubbliche minori distribuite lungo il Paese (per un valore di 62 miliardi), la nostra Pubblica amministrazione blocca complessivamente 115 miliardi di spesa che sarebbero indispensabili per fronteggiare l'attuale situazione economica» si legge nel comunicato della Cgia. «Mentre aspettiamo che i 27 Paesi dell'Ue trovino un accordo per consentire l'utilizzo dei coronabond - afferma il coordinatore dell'Ufficio studi dell'associazione degli artigiani, Paolo Zabeo - nel frattempo sarebbe opportuno che la nostra Pa pagasse i propri fornitori e fosse in grado di avviare le tante opere pubbliche che, ironia della sorte, sono in buona parte quasi tutte finanziate. Se sbloccate, queste misure darebbero una prima importante iniezione di liquidità al sistema economico del Paese, invece, la cattiva burocrazia e il malfunzionamento della macchina pubblica continuano a rappresentare un problema molto serio, quanto la rovinosa caduta che l'economia italiana si appresta a subire nei prossimi mesi». Mai come in questo momento, infatti, sottolinea la Cgia, le famiglie e le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, avrebbero bisogno di liquidità e «nonostante le misure messe in campo dal Governo si continua a non affrontare il cuore del problema». «Le piccolissime imprese - sottolinea il segretario Renato Mason - spesso si appoggiano alle banche del territorio che indicativamente hanno poche risorse e quindi mi aspetto che anche nei prossimi mesi saranno più severe nel valutare le garanzie per concedere i finanziamenti. Per questo andrebbero cambiate le regole europee, introducendo il principio di proporzionalità. Ovvero, non si possono seguire gli stessi criteri di valutazione, lo stesso rating, per imprenditorialità diverse. I lavoratori autonomi, ad esempio, non possono essere valutati come le imprese strutturate o le grandi società di capitali. La richiesta di garanzie andrebbe modulata in base alla dimensione dell'impresa. Invece, tutti sono trattati allo stesso modo, con il risultato che a subire il credit crunch sono in particolar modo i piccoli. E il combinato disposto tra mancati pagamenti della Pa e poco credito erogato dalle banche alle piccole imprese rischia di far chiudere definitivamente tantissime attività». Inoltre, sottolinea la Cgia, stando al monitoraggio realizzato dall'Ance attraverso il sito sbloccacantieri.it, sarebbero quasi 750 le opere pubbliche ferme nel nostro Paese che non consentono di investire 62 miliardi di euro. Oltre a scuole, strade, ospedali ci sono «anche una trentina di grandi opere infrastrutturali strategiche, la quasi totalità già finanziate, che non decollano a causa degli intoppi burocratici relativi alle procedure amministrativo-progettuali richieste, alle guerre giudiziarie in atto tra le imprese o a seguito del tira e molla in corso tra la politica centrale e quella locale».

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