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Coronavirus, c'è il decreto Cura Italia: Arrivano 25 miliardi di euro. Adesso però ne servono molti altri

Il decreto "Cura Italia" varato dal Consiglio dei Ministri è solo un acconto per l'emergenza Covid-19

Franco Bechis
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Il governo dopo molta discussione al suo interno ha varato e prima o poi finirà pure sulla Gazzetta Ufficiale il decreto “Cura Italia”. Di buono c'è una cosa: aveva 25 miliardi in deficit concessi dalla commissione europea e Giuseppe Conte li ha usati tutti subito. E anche se per propaganda il testo è stato ribattezzato in quel modo pomposo e falso (non cura nulla), l'altro annuncio importante arrivato dopo giornate convulse è che questo sarà il primo di una serie. Meno male, perché di questi 25 miliardi circa 1,15 miliardi andranno al fondo sanitario nazionale, altri 1,5 miliardi alla protezione civile e 15 miliardi sono messi a disposizione di famiglie e imprese. In tempi normali sarebbe sembrata una signora manovra. Purtroppo oggi non lo è affatto, anche se ogni norma è ovviamente utile. A una prima stima delle varie categorie fra l'inizio e metà marzo famiglie e imprese hanno perduto ben più di questa somma e temo che da qui alla fine della crisi i 25 miliardi messi in circolazione ora non serviranno nemmeno come piccolo tampone per fermare la perdita di sangue che scorrerà drammaticamente. Qualcosa ci voleva e c'è. Come - in gran ritardo - il congedo parentale per i genitori obbligati a provvedere ai figli piccoli a casa con le scuole chiuse. Un congedo al 50% di stipendio che non basta però per famiglie con redditi bassi, che saranno in grave difficoltà in questo modo. Un bonus baby sitter da 600 euro che credo sia un po' irrealistico: provate oggi a reclutare in queste condizioni qualcuno disposto a venire in una casa che non conosce con più gente dentro. E' poco, davvero poco se si pensa che non avrà diritto a nessun aiuto chi a casa sta perché l'azienda ha scelto lo smart working: deve lavorare, non può accudire un figlio piccolo, e quindi avrebbe bisogno di un aiuto come tutti gli altri. Sono state rinviate le scadenze fiscali, in modo assai pasticciato visto che la data limite per pagare era ieri. Il rinvio riguarda tutti per pochi giorni, le imprese di settori praticamente morti (come il turismo) e solo le micro-imprese, cioè quelle al di sotto di due milioni di fatturato annuo: circa 4 milioni di partite Iva, di cui 2,5 milioni sono persone fisiche senza dipendenti. Ma devono pagare oggi le tasse tutte le pmi italiane e le aziende medio-grandi, anche se in difficoltà. Si capisce bene la sproporzione dell'intervento rispetto alle reali necessità. Pensate a una piccola azienda tessile: superano quasi tutte quel fatturato annuo. Se anche fossero aperte, per chi produrrebbero? Tutta la catena di vendita dei loro prodotti è stata chiusa dal governo. Non incassano nulla e devono pagare pure le tasse. A fine mese quante di loro saranno in grado di pagare lo stipendio ai dipendenti? E se non ce la faranno, quante resteranno aperte nelle settimane successive? Perché senza liquidità chi potrà tamponerà con il capitale sociale, e se non potrà farlo sarà presto nelle condizioni di portare i libri in tribunale. Per colpa del virus, certo. Ma soprattutto per colpa della chiusura di gran parte dell'Italia decretata dal governo, che ha la responsabilità di trovare una soluzione avendo creato il problema. Con il decreto di ieri Conte tampona come può, perché quella somma è drammaticamente inferiore alle necessità. Il tampone immaginato si chiama cassa integrazione in deroga estesa a tutte le categorie produttive, e salva un pasto (stringendo la cinghia) a tanta gente. E' evidente però che questa non è una soluzione, e che la sola strada percorribile costerà una enormità: compensare con risorse pubbliche tutto quel che si è perso (economicamente, purtroppo non le vite) con questa serrata di tutta Italia scelta dal governo. Per avere salva la vita accetteremo tutti di essere un po' più poveri. Sul lastrico però no, ed è soprattutto una situazione che non possiamo permetterci. Frecce all'arco di Conte all'interno del bilancio dello Stato non ci sono, anche se qualcosina si può prendere: in questa situazione al diavolo i 3 miliardi di taglio del cuneo fiscale, chissenefrega di quota 100 e anche il reddito di cittadinanza andrebbe ripensato e rimodulato sulle nuove esigenze reali di famiglie e imprese. Ma è poca cosa: il resto andrà fatto a debito, e peserà sulle spalle nostre e dei nostri figli per generazioni. Però oggi servono maledettamente quei soldi, e bisogna tirarli fuori come si può. Bene questo decreto di metà marzo. La prossima settimana ce ne vuole un altro.

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