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Banche italiane sulla graticola

L'ad di Unicredit Federico Ghizzoni

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Sono state le banche i titoli più penalizzati ieri dalle vendite ieri a Piazza Affari. È stata Unicredit a guidare le perdite (-6,81%) seguita da Intesa Sanpaolo (4,25%), Monte dei Paschi di Siena (-4,92%), Banco Popolare (-5,31%) e Mediobanca (-4,29%). Banca Popolare di Milano ha lasciato sul terreno un altro 6,11% ed è scesa a 0,34 euro per azione. Per la banca meneghina sono andati in caduta libera i diritti sull'aumento di capitale crollati del 78,28% a poco più di 2 centesimi di euro. Insomma un massacro. I titoli bancari sono stati ceduti soprattutto per la crisi degli Spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. Le banche italiane però si trovano nel pieno della tempesta per motivi a loro non addebitabili. Sono state le meno toccate dalle perdite dei mutui subprime e dalla finanza tossica iniettata nel sistema economico mondiale dal crollo della Lehman Brothers, la banca d'affari Usa. Hanno relativamente tenuto l'onda dei bond greci. L'esposizione complessiva continua a essere notevolmente inferiore a quella delle omologhe francesi e tedesche. Ed è proprio lì il vero punto debole. Le perdite sui titoli di Atene da parte dei banchieri di Parigi e Berlino ha imposto delle ricapitalizzazioni accelerate e pesanti per tutto il sistema. Per evitare il crac collettivo del credito europeo insomma gli istituti italiani saranno costretti a mettere mano al portafoglio. E in tempi di magra i sacrifici per gli azionisti non saranno leggeri. Se Intesa SanPaolo ha messo il fieno in cascina prima della crisi estiva dei mercati con un aumento di capitale da 5 miliardi, ora è scoccato il momento di Unicredit, inserite dal Financial Stability Board tra le banche sistemiche ovvero troppo grandi per fallire e dunque obbligate a creare un patrimonio di garanzia più elevato rispetto alle normali banche. Così nonostante la volatilità dei mercati si profila una decisione al fotofinish sulla ricapitalizzazione del gruppo di Piazza Cordusio mentre da Bankitalia è arrivato l'ok alla possibilità di considerare strumenti di capitale solo una parte, anche se significativa, dei 3 miliardi di euro di cashes. Ovvero delle obbligazioni convertibili in azioni emesse nel 2009 per la prima ricapitalizzazione. Tutto è, dunque, rimandato al comitato strategico in programma domenica anche se ogni decisione su un eventuale aumento, alla luce delle condizioni attuali di mercato, verrà presa dal cda in programma il giorno dopo, lunedì 14 novembre. In ogni caso considerato che i grandi soci come le Fondazioni sono a corto di liquidità e probabilmente dovranno indebitarsi per partecipare agli aumenti di capitale, l'occhio del mercato, fuorigioco i libici (che hanno il 7,5%, tra banca centrale e Lia, congelato) è rivolto ai grandi investitori istituzionali. Tra i nomi i cinesi di Cic e il fondo sovrano del Qatar. Che riuscirebbero a prendere gli ultimi gioielli del sistema Italia con cifre praticamente irrisorie. Già, i valori delle azioni in Borsa si sono praticamente annullati negli ultimi 5 anni. Le azioni di Unicredit valevano ieri in Borsa 75 centesimi. Ora è chiaro che la valutazione dei diritti di acquisto, cioè le opzioni sull'acquisto delle nuove azioni non possono avere quotazioni stratosferiche. In soldoni un soggetto con ambizioni di controllo su un istituto come quello di Piazza Cordusio potrebbe rastrellare sul mercato tanti titoli da poter assumere un ruolo di comando staccando un assegno relativamente leggero. Non è l'unica distonia del mercato italiano. Una banca con 500 anni di storia come il Monte dei Paschi di Siena fortemente connaturata a un territorio ricco e produttivo ieri quotava a Milano 28 centesimi per azione. Un sacrilegio. Un solo esempio basta a chiarire che c'è qualcosa che non quadra nei valori: un caffè in un bar del centro storico potrebbero essere pagato con 4 azioni del Monte dei Paschi. Qualcosa va ritarato. Le difficoltà delle banche francesi e tedesche stanno affossando quelle italiane. Che nonostante la crisi e la restrizione della liquidità svolgono il loro mestiere. A questi prezzi però il boccone prelibato del risparmio italiano rischia veramente di essere alla portata di qualche fondo straniero. Occorre fare attenzione. Molti asset sono sfuggiti alla visione strategica del Paese. Non si possono mettere a repentaglio, ora, le banche. Ma c'è un'altra considerazione che va assolutamente fatta. Da una crisi possono nascere le opportunità. Ed è forse il tempo non di distruggere ma di riformulare con nuove regole il sistema del credito. Separare cioè l'attività tradizionale della banca: prestare denaro a un prezzo superiore a quello della raccolta e lucrare un margine sulla differenza, da tutte le altre cose che i banchieri hanno imparato a fare negli ultimi anni.

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