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Per l'export le pmi non bastano più

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Esebbene le esportazioni siano aumentate del 16,9% nel primo quadrimestre dell'anno, se il sistema economico italiano avesse avuto la stessa distribuzione settoriale e dimensionale della Germania, l'export avrebbe potuto crescere di un terzo. L'avvertimento arriva da «150 anni di eccellenza Made in Italy», il decimo Forum Annuale del Comitato Leonardo, l'organismo presieduto dall'imprenditrice Luisa Todini e fondato insieme a Confindustria e Ice per promuovere l'alta qualità italiana nel mondo. Ed è confermato dai dati che emergono dall'indagine, condotta per il Comitato da Fondazione Manlio Masi e Università di Siena, sulla situazione economica del Paese. Indagine che fotografa un'Italia dalla vocazione manifatturiera e esportatrice, che dal 1861 ad oggi è riuscita, nonostante la povertà di materie prime che ha portato al deficit strutturale della bilancia commerciale, a mettere a segno una crescita superiore a quella degli altri grandi Paesi, grazie soprattutto all'esportazione. Ed è diventato nel tempo un Paese forte di un tessuto di Pmi «multinazionali tascabili», che tutti ci invitano, cui però fa da contraltare il numero limitato di grandi imprese. Che rischia di frenare proprio la capacità di esportazione che, ricorda Todini, «è direttamente correlata alla dimensione di impresa». «Negli ultimi decenni», chiarisce, «c'è stato un ridimensionamento della grande impresa a fronte di un consolidamento del modello produttivo incentrato sulla piccola e media impresa. La dimensione media di una nostra azienda manifatturiera è di 9,6 addetti, contro i 16 degli altri Paesi Ue o i 36,3 della Germania. Questa struttura produttiva incide sulle esportazioni, dove le grandi imprese italiane hanno il 48% del totale contro il 71% della Francia, il 79% della Germania e l'87% degli Usa».

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