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Draghi parla come un tedesco

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Nellaprima uscita da potenziale presidente in pectore della Banca Centrale Europea Mario Draghi parla da tedesco. Con gran sollievo, probabilmente, della Germania l'ultima a piegarsi alla volontà dei paesi dell'Eurozona di nominare un italiano a guardia della stabilità monetaria dell'Unione Europea. Nell'audizione davanti alla commissione Problemi economici e monetari del Parlamento europeo, Draghi, ha ripetuto più volte, quasi a evitare ogni dubbio, qual è il mandato dell'Istituto di Francoforte: «Garantire la stabilità dei prezzi nel medio termine è l'obiettivo primario della Bce». La continuità con il rigore monetario è dunque assicurata. Ma Draghi è in sintonia con l'attuale presidente Jean Claude Trichet anche sulla crisi della Grecia. Conscio dei rischi di una bancarotta statale di un partner dell'euro l'ex inquilino di Via Nazionale ha messo subito in chiaro che la Grecia «non deve andare in default e qualsiasi ristrutturazione non volontaria provocherebbe una nuova Lehman Brothers e sarebbe una manna per quella speculazione che non aspetta altro di sfruttare la contingenza». Niente cedimenti insomma. Una volta insediato a Francoforte la Eurotower continuerà a essere una garanzia per la stabilità. Parla da esperto Draghi. Che conosce bene l'esperienza del potenziale crac di un paese. In fondo anche l'Italia degli anni '90 era sull'orlo di un dissesto finanziario ma le misure draconiane prese allora consentirono al Paese di farcela. E Atene, come l'Italia negli anni '90, può replicare. Nelle oltre due ore e mezza di botta e risposta con i parlamentari europei, Draghi ha difeso il successo dell'euro e delle istituzioni europee il cui rafforzamento «è ancora a metà del guado» e ha chiarito che la Bce resta ancorata al mandato della stabilità dei prezzi a medio termine in tutta l'area «senza questione di priorità o preferenze nazionali». L'impegno verso una stabilità dei prezzi non arriva così da un Draghi improvvisamente germanizzato come l'ha dipinto la stampa tedesca ma di un ideale continuum dell'impegno di chi ha conosciuto l'inflazione a due cifre dell'Italia degli anni '70. «Ogni mese - ha ricordato il governatore ripensando alla crisi degli anni '90 - dovevamo emettere titoli per un importo tre volte superiori a quelli della Grecia», e l'Italia aveva un'esposizione 10 volte superiore a quella Grecia» mentre la svalutazione della lira aiutò solo in parte. Per questo la «scorciatoia» di un default per la Grecia non risolverebbe nulla visto che il deficit resterebbe sopra il 3% e le banche andrebbero ricapitalizzate perché perderebbero sulla massa dei titoli di stato posseduti. Il risultato sarebbe costituito da «maggiori costi» e un rischiosissimo «contagio» con una «nuova Lehman Brothers» dalle conseguenze sconosciute «perché se abbiamo capito come fallisce un impresa e forse come fallisce una banca non sappiamo cosa succede quando fallisce uno stato» europeo. Il punto quindi è il rafforzamento dell'Unione Europea, ora non legata da un vincolo comune di bilancio. Senza di questo l'ipotesi di emissione di Eurobond o di un ministro dell'economia Ue non può essere portata avanti. Draghi ha risposto anche alle domande sul suo passato in Goldman Sachs la banca d'affari statunitense che operò uno swap (un'operazione di ingegneria finanziaria) sul debito greco. Draghi ha spiegato che l'operazione è stata fatta prima del suo arrivo.

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