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Penalizzate le imprese e i piccoli risparmiatori. Aumentano le importazioni di prodotti alimentari dall'estero soprattutto olio e pomodori

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Ieri ha sfondato il muro di 1,20 dollari (1,2017) migliorando il precedente massimo a 1,1978. È un livello mai toccato dalla sua nascita il 10 gennaio del 1999. Nemmeno la disputa sul patto di stabilità con la dura presa di posizione da parte della Bce, è riuscita a indebolire l'euro. Le Borse hanno reagito flettendo ma poi recuperando sul finale. Piazza Affari ha reagito meglio di tutti trovando una spinta autonoma e chiudendo con Mibtel e Mib 30 parimerito a +0,15%. Parigi ha ceduto lo 0,20%, Londra lo 0,42%. Secondo gli operatori l'ondata di acquisti è scattata sulla base di motivazioni in parte di natura tecnica, in parte riconducibile alla tensione in Iraq e alla situazione economica degli Usa. Nonostante, infatti, gli Stati Uniti mostrino segnali di una robusta ripresa, il mercato guarda con apprensione al deficit commerciale e di bilancio che crea pressioni sul biglietto verde. Il problema sta nella incapacità degli Usa di attirare fondi dall'estero per coprire un deficit corrente sempre più elevato. Per le imprese di Eurolandia maggiormente esposte sul mercato americano è un'ennesima doccia fredda. Tant'è che ieri sulle Borse europee hanno sofferto di più proprio quei settori maggiormente esposti al rafforzamento dell'euro sia a livello di competitività delle esportazioni, sia sugli utili realizzati in area dollaro. Tra questi spiccava l'auto che ha guidato il ribasso dell'eurostoxx 600 (-1,1%) e i farmaceutici (-0,7%). Le aziende infatti che sono rivolte come export al mercato americano ora si trovano a dover fronteggiare la concorrenza di imprese che operando in dollari hanno costi inferiori e quindi sono più competitive. Ma non va meglio neppure per i piccoli risparmiatori e i consumatori. L'economista Enrico Colombatto, direttore del Dipartimento di Economia dell'Università di Torino, spiega che chi ha investito in azioni o obbligazioni di società che operano sul mercato americano «deve aspettarsi risultati meno interessanti». Il che vuol dire performance dei titoli meno brillante e distribuzione di dividendi meno sostanziosi. C'è poi la situazione di chi ha investito in fondi che hanno puntato sul mercato Usa e che ora vede ridursi il proprio capitale. «L'investitore in questo caso potrebbe decidere di spostarsi da un mercato a un altro ma è troppo tardi e comunque andrebbe a perdere lo stesso», afferma Colombatto. Di contro diventa meno costoso comprare titoli che non appartengono all'area euro. Un'azione infatti costa il 20% in meno. Ripercussioni anche sui consumi. Secondo uno studio della Coldiretti stanno aumentando i prodotti alimentari provenienti dall'estero. Nei primi sette mesi del 2003 i pomodori provenienti dall'estero hanno subito un incremento del 109%: la Cina è il primo fornitore del nostro Paese con il 75%. In aumento anche l'import di olio (+22%), di salumi e insaccati (+12%) e di formaggi e latticini (+10%). Il problema è che non c'è sempre l'obbligo di mettere sulle etichette il Paese d'origine.

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