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Quella condivisione che non arriva

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Gli antichi nemici non si sono mai pacificati, una colpa comune La sinistra preferisce ignorare gli eventi. La destra snobba la cultura

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Lasocietà italiana non sembra pronta ad accettare gli episodi cruciali della sua storia, in particolare di quella del Novecento, senza resistere alla tentazione di piegarli alle esigenze ideologiche. È ben strano questo atteggiamento che ha pochi riscontri nel resto d'Europa se si considera il cammino compiuto dai maggiori studiosi sulla strada di un revisionismo che prometteva buoni frutti. Ricordo che quando la sinistra si esercitava negli anni Settanta nell'aggressione sistematica a Renzo De Felice per il suo lavoro di scavo negli anfratti più riposti del fascismo, dal quale scaturì la monumentale biografia di Mussolini, un politico onesto e lungimirante come Giorgio Amendola, invitò dalle colonne dell'"Unità" a non "sparare" sullo storico, ma ad aver rispetto della verità che, per quanto non coincidente con la vulgata di comodo. In pochi se ne diedero per inteso. E quando lo stesso Amendola diede la famosa Intervista sull'antifascismo allo storico Piero Melograni, ribadendo la stessa posizione con argomentazioni maggiori, l'atteggiamento dell'intellighentia di sinistra fu di netta chiusura. Si perse un'occasione e venne perpetuato un insulto alla democrazia italiana: l'intolleranza. Atteggiamento questo che continua ancora a dominare in ambiti non certo marginali del giornalismo. L'effetto della demonizzazione, abbattutasi con il passare del tempo anche sugli avvenimenti più controversi della seconda metà del secolo scorso, ha di fatto negato all'Italia quella pacificazione che dovrebbe essere a fondamento di ogni società ordinata. Pacificazione, naturalmente, non vuol dire piegare alle ragioni dell'oblio quanto di deprecabile è accaduto. Adalberto Baldoni, storico prudente ed infaticabile ricercatore soprattutto in quegli ambiti del Novecento poco frequentati, autore di saggi importanti sulla "notte della Repubblica", vale a dire il terrorismo, sulle vicende complesse e misconosciute della destra italiana, sulla controversa personalità di Pasolini, sul variegato universo rivoluzionario giovanile pre e post-sessantottesco, prova con Pagine strappate. Le verità nascoste nei testi di storia (I libri del Borghese, pp. 173, 15 euro) a riportare alla luce ciò che secondo una certa pubblicistica dovrebbe rimanere sepolto o, nella migliore de ipotesi, confuso, grazie al lavoro di mistificazione, ad esempio, sulle foibe, sui massacri ingiustificati del resistenzialismo comunista, sugli anni di piombo scanditi dal terrorismo rosso: per taluni questo "materiale" incandescente sarebbe da annoverare tra i "dettagli" della storia sui quali sorvolare. Non è un caso, osserva Baldoni, che quando nel 2004 il Parlamento istituì il "Giorno del ricordo" per onorare la memoria degli infoibati e degli esuli giuliano-dalmati, cospicui settori della sinistra inscenarono indegne gazzarre; gli stessi che in questi anni hanno difeso Cesare Battisti, pluriomicida ma a scopo "politico" mentre da decenni si ostinano a qualificare le grandi stragi per quel che non sono, vale a dire come "stragi fasciste" dopo inoppugnabili verità processuali che ne hanno rigettato il marchio di comodo.In questo brodo di coltura cuoce l'intolleranza che si accredita nei libri di testo ed in una pubblicistica ancora egemone. Farebbe sorridere in altri contesti la "rivelazione" dello scrittore Alessandro Baricco che di recente ha dichiarato di non aver mai letto una pagina di Malaparte, fino a poco tempo fa, soltanto perché era fascista: fa semplicemente pena invece considerando che costui passa per un "maestrino del pensiero" abilitato a pontificare su tutto o quasi. E che dire del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che in occasione della Commemorazione dei defunti lo scorso anno, apprendendo di molti "repubblichini" sepolti al Cimitero Maggiore, disse che "non meritano nemmeno un fiore"? Dopo quasi settant'anni come giudicare queste parole? Baldoni se lo chiede e risponde con quelle di Gioacchino Volpe, grande storico del secolo scorso, per il quale la guerra civile ad un certo punto assunse i connotati di una "strage civile" : "armati contro inermi, vincitori contro già vinti". Il fondamento di tutto è l'empietà e la menzogna. Perciò Baldoni si chiede come e quando il nostro Paese si "pacificherà" permanendo uno stato di latente inciviltà nel rapportarsi alle tragedie che hanno scandito il "secolo breve", da parte delle classi dirigenti italiane. E fa intendere che le "pagine strappate" andrebbero incollate; se finora non è stato fatto la responsabilità non è soltanto degli "orfani del comunismo", ma anche di chi, negli ultimi vent'anni avrebbe potuto e dovuto fare qualcosa per ristabilire un corretto rapporto tra storia e politica. Il dito, senza mezzi termini, lo punta contro il centrodestra che aveva tutti gli strumenti per contrastare l'egemonia post-marxista, ma non ha ritenuto di impegnarsi nel campo della cultura ritenendola marginale nella "conquista" di spazi nella società civile. Un errore di prospettiva che oggi paga a caro prezzo. Baldoni conclude che la via migliore da battere è quella della "memoria aperta", ossia la convergenza di tutti coloro che non soggiacendo alla demagogia ed alle strumentalizzazioni cercano effettivamente la verità. È forse questo il solo modo per riprendere, con qualche prospettiva di successo, la via della pacificazione.

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