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di Carlo Antini Sarà la erre moscia ma sentir pronunciare quei titoli da lei fa un certo effetto.

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EdwigeFenech ha fatto pace con le commedie sexy anni Settanta che le hanno regalato fama e denaro. Il merito va anche a un genio del cinema come Quentin Tarantino, da sempre fan della Fenech. Dopo 15 anni di assenza, torna davanti alle telecamere nelle vesti di Caterina II nella fiction «La figlia del capitano», ispirata all'omonimo romanzo di Puskin. Edwige Fenech, dopo tante produzioni di successo perché ha deciso di tornare a fare l'attrice? Non è un ritorno. È che hanno insistito tutti perché recitassi nella parte di Caterina II. All'inizio sono stata molto restia perché avevo deciso di tirare i remi in barca ma poi mi sono lasciata convincere dal fascino del personaggio e dalla bellezza del romanzo di Puskin. Ho pensato: quando mi ricapita più di interpretare un personaggio così incisivo? E alla fine ho ceduto. Perché a un certo punto ha deciso di tirare i remi in barca? Sentivo di aver raggiunto tutto quello che volevo. All'inizio della mia carriera il pubblico mi amava e la critica neppure mi considerava. Avevo successo ma tutti mi consideravano solo per la mia avvenenza e non come donna. Ma non si può avere successo se non si è in grado di trasmettere qualcosa al pubblico. Poi cos'è cambiato? Ho fondato la mia casa di produzione e le prime cose hanno avuto un grande successo anche di critica. In un attimo sono passata dal nulla al settimo cielo e mi sono sentita appagata. A quel punto ho iniziato a leggere le sceneggiature pensando soprattutto ad altri attori. È stato un passaggio naturale: ormai avevo ottenuto quello che mi mancava. Cosa l'ha convinta a mettere in scena il romanzo di Puskin? La sua assoluta modernità. Se ci si estranea per un attimo dal Settecento e dai costumi, si vede che la storia si ripete ma non solo in Russia. Il potere, la ribellione al potere, la dittatura, l'amore e il conflitto di classe sono tutti temi all'ordine del giorno anche oggi. Leggendo il romanzo di Puskin sembra di ascoltare un telegiornale dei nostri giorni. Dopo «La figlia del capitano» a cosa sta lavorando «Immagine e cinema», la sua casa di produzione? Stiamo finendo di scrivere una serie che si intitolerà «Sarà domani». Parla dei vizi e delle virtù della provincia. Italiana e non. Vengono alla luce le beghe nascoste legate all'ecologia e alla corruzione, a cavallo tra giallo e commedia. Qual è il suo sogno nel cassetto? Ne ho uno privatissimo di cui non voglio parlare. Dal punto di vista professionale vorrei poter essere sempre un produttore onesto e vicino ai desideri del pubblico. Questo lavoro lo faccio con tanto amore e vorrei farlo ancora per tanto tempo. Con chi avrebbe voluto recitare e non ha mai avuto l'opportunità di farlo? Ho avuto la fortuna di recitare con tutti i più grandi, da Tognazzi a Gassman, da Sordi a Monica Vitti, ma mai con Marcello Mastroianni. Mi manca. Di chi conserva il ricordo più bello? Di tutti. Ho avuto la fortuna di lavorare con gente che adoravo anche nella vita. Con Sergio Leone c'era un bellissimo legame e Vittorio Gassman era un grande amico. Con Ugo Tognazzi, però, c'era un rapporto speciale. Eravamo in grande confidenza e ci frequentavamo anche con le nostre famiglie. Si conoscevano e giocavano insieme anche i nostri figli. Se potesse tornare indietro, rifarebbe tutti i film che ha interpretato? Assolutamente no. Sono tanti i film che oggi non rifarei ma se all'epoca ho accettato di interpretarli vuol dire che una ragione c'era. Ed era la necessità di lavorare. Sono diventata mamma a 21 anni ed ero una mamma sola, una ragazza madre. Per questo avevo bisogno di lavorare per mantenere me e la mia famiglia. Dovevo essere all'altezza delle mie responsabilità. Cosa pensa delle sue commedie sexy diventate col tempo veri e propri cult? Quando uscivano non li vedevo mai. Ero super critica e quando mi capitava di vederli soffrivo perché pensavo: avrei potuto fare meglio questo o quello. E poi odiavo i titoli che sceglieva il mio produttore, regista e compagno di vita di allora, Luciano Martino. A casa c'erano grandi litigi per «Quel gran pezzo dell'Ubalda» o «Giovannona coscialunga». Io cercavo di fargli cambiare idea ma non c'è mai stato niente da fare. Oggi sono costretta a dargli ragione, vista la fortuna che hanno avuto quei film anche grazie ai loro titoli. Oggi è ancora così critica come in quegli anni? Quando mi capita di rivedere le mie commedie in tv sono più rilassata. Mi sembra di vedere una donna che non sono più io e questo crea un certo distacco. I film sono stati sdoganati anche dalla critica e tutto è cambiato. Una sera mi hanno segnalato una recensione di «Quel gran pezzo dell'Ubalda» in cui si parlava della poesia di Pippo Franco e si citava addirittura Truffaut. Allora mi sono decisa a rivederlo e l'ho trovato molto particolare, una vera chicca. Per non parlare di «Giovannona coscialunga» citato addirittura nei «Cahiers du cinéma». Roba da non credere. Quando l'ha contattata Tarantino per offrirle una parte in «Hostel II», però, ha capito che qualcosa era cambiato o no? Con Quentin siamo molto amici. Ci siamo incontrati a Venezia quando abbiamo presentato «Il mercante di Venezia» con Al Pacino. I miei collaboratori mi hanno detto che mi cercava con insistenza per portarmi a cena. Io rimasi molto sorpresa, ignoravo che lui mi conoscesse. Mi stava cercando dappertutto ma io dovevo andare a prendere Pacino in aeroporto. Appena atterrato, Pacino mi disse che era stanco e avrebbe preferito andare dritto in albergo. Allora ho accettato l'invito a cena di Quentin. Com'è andata la cena? Io e Quentin eravamo seduti al tavolo con Barbara Bouchet, Joe Dante e Luciano Martino. Quentin ha cominciato a fare i complimenti a Luciano dicendogli che è un genio per la scelta delle luci e della fotografia. Da allora ci siamo visti tutte le volte che è stato possibile. Dalla cena a «Hostel» il passo è stato breve? Dopo il successo del primo capitolo, Tarantino ha deciso di produrre il sequel, affidandolo alla regia di Eli Roth. Eli si è presentato a Roma con i dvd dei miei film e ha voluto che gli scrivessi una dedica su ogni copia. Era talmente felice che saltava sulla sedia. Mi ha strappato la promessa di farmi recitare in «Hostel 2». Io gli ho detto di sì a una sola condizione: che non mi facesse morire ammazzata. È stato di parola.

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