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di Giorgio Napolitano Il ciclo delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità non può considerarsi ancora esaurito: lo dicono notizie e annunci che continuano ad affluire.

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Innanzituttol'eccezionale diffusione e varietà di iniziative, e il carattere spontaneo che molte di esse hanno presentato: non sollecitate e coordinate dall'alto, da nessun luogo “centrale”, Presidenza della Repubblica o Governo. Si è davvero trattato di un gran fiume di soggetti che si sono messi in movimento, in special modo al livello locale, fin nei Comuni più piccoli – istituzioni, associazioni di ogni genere, gruppi e persone. È stato un gran fervore di richiami di antiche memorie, anche famigliari, e di impegni di studio, di discussione, di comunicazione. Quel che si è mosso, poi, nelle scuole è stato straordinario: quanti insegnanti, per loro conto, e quanti studenti, a ogni livello del sistema d'istruzione, si sono messi d'impegno e hanno dato in tutte le forme il loro contributo! E anche in termini quantitativi che cosa è stata la partecipazione dei cittadini anche alle manifestazioni nelle piazze e nelle strade e dai balconi delle case, in un'esplosione mai vista di bandiere tricolori e di canti dell'Inno di Mameli! Ce lo aspettavamo? In questa misura e in questi toni, no: nemmeno quelli tra noi, nelle massime istituzioni nazionali, che ci hanno creduto di più e hanno deciso di dedicarvisi più intensamente. È stata una lezione secca per gli scettici, e ancor più per coloro che prevedevano un esito meschino, o un fallimento, dell'appello a celebrare i centocinquant'anni dell'unificazione nazionale. Soprattutto, è stata una grande conferma della profondità delle radici del nostro stare insieme come Italia unita. Si può davvero dire che le parole scolpite nella Costituzione – «la Repubblica, una e indivisibile» – hanno trovato un riscontro autentico nell'animo di milioni di italiani in ogni parte del Paese. E non in contrapposizione ma in stretta associazione – come nell'articolo 5 della Carta – all'impegno volto a riconoscere e promuovere le autonomie locali. Nello stesso tempo, si può ritenere che il così ampio successo registratosi vada messo in relazione col bisogno oggi diffuso nei più diversi strati sociali di ritrovare – in una fase difficile, carica di incognite e di sfide per il nostro Paese – motivi di dignità e di orgoglio nazionale, reagendo a rischi di mortificazione e di arretramento dell'Italia nel contesto europeo e mondiale. L'aver fatto leva sull'occasione del Centocinquantenario, l'aver puntato su celebrazioni condivise, è stato dunque giusto e ha pagato. Non bastava però lanciare un appello generico: occorreva richiamare in modo argomentato fatti storici ed esperienze, fare i conti con interrogativi e anche con luoghi comuni, favorire quella che non esito a chiamare una riappropriazione diffusa, da parte degli italiani, del filo conduttore del loro divenire storico, del loro avanzare – tra ostacoli e difficoltà, cadute e riabilitazioni, battute d'arresto e balzi in avanti – come società e come Stato nei secoli XIX e XX (...). Qual è la conclusione che oggi ne traggo? Che non si è trattato di un fuoco fortuito, di un'accensione passeggera che già sta per spegnersi, di una parentesi che forse si è già chiusa. No, si è trattato di un risveglio di coscienza unitaria e nazionale, le cui tracce restano e i cui frutti sono ancora largamente da cogliere. Non ci porti fuori strada l'impressione che appena dopo aver finito di celebrare il Centocinquantenario in un clima festoso e riflessivo, aperto e solidale, si sia ritornati alle abituali contrapposizioni (...), alle estreme partigianerie della politica quotidiana. Quel lievito di nuova consapevolezza e responsabilità condivisa che ha fatto crescere le celebrazioni del Centocinquantenario continuerà a operare sotto la superficie delle chiusure e rissosità distruttive, e non favorirà i seminatori di divisione, gli avversari di quel cambiamento di cui l'Italia e gli italiani hanno bisogno per superare le ardue prove di oggi e di domani. (dalla prefazione) L'artefice dell'Unità: Cavour Non ci si dedichi dunque a esercizi improbabili, per non dire campati in aria, di nostalgismo meridional-borbonico o di cavourismo immaginario, nell'idoleggiamento di un presunto Cavour chiuso in un orizzonte nordista e travolto nolente dalla liberazione del Mezzogiorno. Riconosciamoci tutti nell'esito esaltante del movimento per l'Unità d'Italia, condizione e premessa dell'ingresso del nostro Paese nell'Europa moderna e del suo successivo trasformarsi e svilupparsi. (p. 71 - Santena, Castello Cavour, 6 giugno 2010) L'idea di Roma È mio doveroso impegno e assillo che non calino ombre da nessuna parte sul patrimonio vitale e indivisibile dell'unità nazionale, di cui è parte integrante il ruolo di Roma capitale. Un ruolo che non può essere negato, contestato o sfilacciato nella prospettiva, che si è aperta e sta prendendo corpo, di un'evoluzione più marcatamente autonomista e federalista dello Stato italiano. Questa chiama piuttosto chi rappresenta e amministra Roma a un nuovo impegno ordinamentale, d'intesa con la Regione e la Provincia, e a una nuova prova di efficienza e modernità nell'esercizio di funzioni ben più ricche che nel passato. È questo ciò che conta, non l'invocare formalmente il rango di Roma capitale. (p. 80 - Palazzo del Campidoglio, 20 settembre 2010) La memoria del Tricolore C'è una persistenza della memoria del Risorgimento e del moto nazionale unitario assai più diffusa, in tutte le regioni, di quanto taluno mostri di ritenere. E a forze politiche che hanno un significativo ruolo di rappresentanza democratica sul piano nazionale, e lo hanno in misura rilevante in una parte del Paese, vorrei dire che il ritrarsi, o il trattenere le istituzioni, dall'impegno per il Centocinquantenario – che è impegno a rafforzare le condizioni soggettive di un'efficace guida del Paese – non giova a nessuno. Non giova a rendere più persuasive, potendo invece solo indebolirle, legittime istanze di riforma federalistica e di generale rinnovamento dello Stato democratico. (p. 99 - Reggio Emilia, Teatro Valli, 7 gennaio 2011)

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