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La Polonia dall'invasione nazista alle stragi dell'Armata Rossa Nel saggio «Morire per Danzica» il dramma di un grande Paese

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IlTupolev 154 presidenziale che ha a bordo il presidente polacco Lech Kaczynski e i vertici militari e civili dello Stato si schianta al suolo durante la manovra di avvicinamento all'aeroporto di Smolensk, da dove la delegazione giunta da Varsavia doveva muoversi per andare a rendere omaggio alle vittime di Katyn». È l'epilogo, per la Polonia, di un secolo di tormenti, di condanne che, se pur vedono in parte la responsabilità di una parte della classe dirigente, dall'altra hanno il sapore inevitabile e immanente della tragedia greca. La Polonia ha dovuto soffrire per una serie di motivi storici, perché è stato un vaso di coccio tra vasi di ferro e infine perché è stata immensamente sfortunata. Tutto raccontato nel saggio storico di Marco Patricelli «Morire per Danzica - La Polonia tra Hitler e Stalin», Hobby & Work, 322 pagine, euro 16,50, dal quale sono tratte le drammatiche righe iniziali sulla tragedia di Smolensk. Dalla riconquista dell'indipendenza nel 1918 alla guerra contro i bolscevichi negli anni Venti, dalle clausole segrete del Patto Molotov-Ribbentrop, alla genialità di alcuni matematici che riuscirono a decrittare il «codice Enigma», questo saggio coinvolgente e profondo rievoca quegli anni cruciali con precisione, ma anche con sentimento. Patricelli fa lo storico, ma una storia tale da sembrare un romanzo non lo lascia indifferente. Ed è chiaro leggendo le sue righe: c'è la naturale rabbia di chi scorre le azioni di tanti bravi cittadini i cui sforzi, per avere una vita migliore, per mantenere la libertà, in quattro parole: per vivere in pace e vede questi sforzi fallire per un «fato» superiore. Un fato fatto di circostanze storiche e di realtà politiche che l'autore racconta attraverso reportage di guerra, cronache di eventi e di contatti diplomatici. Non mancano i ritratti umani e le ricostruzioni di episodi che sembrano usciti da un libro di Ian Fleming. Quello di Patricelli è un saggio storico, ma sembra un libro di spionaggio teso nel tentativo di spiegare il destino tragico di un grande, orgoglioso Paese. Churchill diceva che «la Polonia è come una roccia» colpita dal mare. Un'onda la può sommergere e sottrarla alla vista ma, tra le correnti, la roccia rimane roccia. E la roccia Polonia è stata colpita da molte onde e sommersa da molti mari. Una cosa appare lampante: questo Paese ad un certo punto è stato il «laboratorio» di tutte le grandi tragedie del Novecento. E per questo, a dispetto di patti e trattati, milioni di persone furono costrette a morire per Danzica. Una città simbolo di un Pese infilato come un cuneo tra le due più spietate superpotenze della prima metà del Novecento: la Germania Nazista e la Russia di Stalin. Quella polacca è una storia emblematica, intessuta di molteplici fili, dalle contese diplomatiche alle campagne belliche, fino all'orrore delle fosse di Katyn, arrivato ai giorni nostri con il film di Wajda. Il massacro di Katyn è una delle pagine più nere d'Europa. Avvenne durante la Seconda Guerra mondiale. Fu la semplice e brutale esecuzione da parte dell'Armata Rossa, di soldati e civili polacchi. Solo perché erano Polacchi. Ma questa è solo una parte dell'orrore che vide il barbaro assassinio di ventiduemila persone. Dell'eccidio dei tanti uccisi con un colpo di pistola e gettati in fosse comuni si incolparono vicendevolmente nazisti e russi. L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, a guerra vinta, scrisse la storia come sempre fanno i vincitori, e lasciò alla defunta Germania nazista ogni responsabilità. Anche se la Storia è la meno esatta di tutte le scienze la versione sostenuta dai gregari di Stalin non poteva convincere nessuno. I tempi, le circostanze, gli avvenimenti non tornavano. La Russia fu responsabile di quel massacro, attuato per vendetta della sconfitta subita dai polacchi e culminata nel 1921 con la pace di Riga e anche per «decapitare» dei suoi ufficiali l'inviso ma temuto esercito. Su questo evento i soviet imposero per anni il silenzio, utilizzando tutto il potere del loro apparato militare e repressivo. Un altro smacco fu la «scomparsa» del massacro di Katyn dal processo di Norimberga. Impossibile creare una «falsa verità», impossibile sbugiardare il vincitore. I poveri assassinati nella foresta di Katyn con un colpo alla testa furono seppelliti per una seconda volta. Quella Polacca è un'epopea con innumerevoli protagonisti e un unico convitato di pietra: il tradimento. Il primo settembre 1939 i tedeschi invadono la Polonia; pochi giorni dopo è la volta dei sovietici. Sono le fasi d'esordio del secondo conflitto mondiale, ma per la Polonia, in realtà, è l'ennesima tragedia di una storia segnata dalla vicinanza di due giganti: la Russia e la Germania. Le due «belve» di divideranno la preda smembrandola, mentre il resto del mondo stava a guardare. Patricelli percorre l'intera storia soffermandosi sui particolari del Patto Molotov-Ribbentrop, ma forse sarebbe più corretto chiamarlo Patto Stalin-Hitler. Non fu solo un trattato di non aggressione fra la Germania nazista e l'Unione Sovietica, l'accordo definiva le sfere di influenza del Terzo Reich e dell'Urss. Quel patto scellerato strappava in due la Polonia e ne consegnava un pezzo a ciascuna delle due belve. Un destino «maledetto» per il quale, Patricelli ben lo illustra, politicamente non era possibile fare nulla. Comunque l'autore non fa sconti a nessuno, nemmeno ai polacchi che, dotati di una intelligence di prim'ordine, riuscirono, ad esempio, a decifrare il codice Enigma dei nazisti. Ma si tennero per se questo segreto, senza condividerlo con gli alleati finché non fu troppo tardi. Comunque, per l'autore, i vertici di quella Polonia non meritarono le accuse di simpatia per la Germania nazista che gli furono affibbiate poi.

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