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I padri del Novecento perduti e dimenticati

Robert Oppenheimer

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Riusciranno le indagini clamorosamente riavviate nei giorni scorsi a sciogliere il mistero che da settanta e più anni avvolge la scomparsa di uno dei padri della fisica, Ettore Majorana? Lo sperano gli storici e non solo. Certo è che Majorana, considerato da scienziati del calibro di Fermi il più dotato della sua generazione, non è l'unico genio della sua epoca finito in modo misterioso o tragico. Basti pensare al grande Nikola Tesla, padre dell'energia elettrica, morto negli anni Quaranta considerato, praticamente pazzo. Tesla, nato in Serbia nel 1856, fisico, ingegnere, padre della conoscenza scientifica dell'energia elettrica, studioso precocissimo e di altissimo livello, arrivò poco più che trentenne negli Stati Uniti, era il 1884, dove fondò una sua società per l'utilizzo dell'elettricità. Capì subito che il futuro era nella corrente alternata (e non in quella continua), progettò e costruì i primi motori elettrici lavorando con Thomas Edison e George Westinghouse. Lui, Nikola, probabilmente li batteva come genio, ma era sregolato, molto poco diplomatico e, per molti, troppo avanti con le sue conoscenze. Si ritrovò più volte senza lavoro: dovette spesso arrangiarsi facendo l'operaio. Candidato al Nobel per la Fisica nel 1915 morirà nel '43, solo e considerato malato di mente. Una sorte migliore, ma non troppo, toccò al grande Antonio Santi Giuseppe Meucci, fiorentino di nascita, scelse di emigrare in America dove giunse a 37 anni. Era un genio, Antonio Meucci e, ormai, è riconosciuto come il padre del telefono. Ma se come scienziato era eccezionale, come amministratore di se stesso era una catastrofe. Spesso in bolletta non ebbe la possibilità di registrare alcune sue invenzioni e si trovò impegolato in una causa contro Alexander Graham Bell, che affermava invece di aver inventato lui il telefono. Meucci perse la causa contro Bell. La giustizia gli diede torto, ci penserà poi la Storia a restituirgli i meriti che gli spettano. Molto più vicino ad Ettore Majorana, per settore di studi, fu Julius Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica e, per un pacifista come lui, già questo titolo, che seguirà per sempre il suo nome, ha il suono di una condanna. Oppenheimer, figlio di genitori ebrei tedeschi emigrati negli Stati Uniti, si laureò in Fisica ad Harvard nel 1925. Sentì subito il bisogno di ricollegarsi a quell'Europa nella quale erano le sue radici. Viaggiò fino alla celebre Università di Gottinga, lavorò con Born e Pauli alle teorie della fisica quantistica. Ma l'aspettava al varco qualcosa di ben meno teorico: nel 1942, nel pieno della Seconda Guerra mondiale, il governo degli Stati Uniti lo chiamò a dirigere il Progetto Manhattan. Si trattava dell'enorme, segretissimo piano per costruire la prima bomba atomica. Chissà, forse Enrico Majorana scomparve proprio per evitare di trovarsi a dover fare una scelta del genere. Oppenheimer non si tirò indietro e il suo genio partorì, insieme ai grandi fisici che coordinava, il primo ordigno nucleare. Ma, tormentato dai suoi ideali e dalla coscienza, nel Dopoguerra, come presidente del Comitato americano per l'energia atomica, si oppose alla costruzione della bomba all'idrogeno. Fu accusato di essere comunista, processato e condannato a non avere più accesso quei segreti atomici che lui stesso aveva contribuito a svelare. Del professor Ettore Majorana si perse ogni traccia la sera del 27 marzo 1938. Era imbarcato su un piroscafo tra Palermo e Napoli. Qualcuno disse che il fisico, ormai giunto al segreto della bomba atomica e per timore che finisse in mani sbagliare (allora in Europa comandavano Hitler e Mussolini), si tolse la vita. Altri sostengono che si limitò a cambiare identità. Di certo era un prodigio del calcolo mentale e uno dei massimi fisici teorici. Ma il genio porta responsabilità che, alle volte, possono apparire insostenibili.

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