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di RUGGERO GUARINI Che cos'è la letteratura? È «ciò che contrae, muta, nasconde, enfatizza il sentimento della vita».

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Questolibro, «Le ore e i giorni» (Medusa, 293 pagine) è solo una parte del diario in cui la Volpi, fin dagli anni dell'adolescenza, suole annotare i suoi pensieri e i suoi umori insieme a qualche rapido accenno ai fatti, agli incontri e alle letture che glieli suggeriscono. Le pagine ammesse in questa scelta vanno dall'agosto del 1978 al dicembre del 2007 e non ve n'è una che non emani l'aroma della peculiare passione letteraria espressa nella frase che ho citato. È da ormai circa trent'anni che conosco, frequento e leggo la Volpi. Non è stato dunque certo questo libro a rivelarmi il talento di questa scrittrice non meno sottile ed elegante nel registro narrativo (vedi quelle gemme che sono «Il maestro della betulla» e «La casa di via Tolmino», per ricordare soltanto i suoi due primi racconti) che in quello saggistico e critico (vedi le mirabili pagine da lei dedicate ai tanti artisti antichi e moderni che hanno suscitato maggiormente il suo interesse di storica dell'arte). Ma nessun suo scritto mi aveva finora colpito come questi suoi fogli di diario. E questo effetto è dovuto appunto allo specialissimo rapporto con la letteratura che quelle parole lasciano intravedere. Questo rapporto non è affatto di natura specialistica o accademica. È un rapporto governato da quella passione divorante che in certi bambini incomincia ad ardere quando, contratto il vizio della lettura, accade loro di scoprire un po' alla volta che ci sono libri che non servono soltanto a istruirci e informarci su qualche specifico argomento mediante l'illustrazione di alcune nozioni o il racconto di alcune vicende, né soltanto a divertirci accalappiandoci con degli intrecci più o meno avvincenti, ma anche, anzi soprattutto, a segnalarci qualche oscuro aspetto psicologico e morale della condizione umana, non senza al tempo stesso provvedere a rianimare la lingua, sgualcita dall'uso quotidiano, ridandole vigore, precisione, colore e plasticità. Questo naturalmente equivale a dire che l'amore della Volpi per la letteratura si confonde inestricabilmente con l'amore per la verità. Una verità - va da sé - toto coelo diversa da quelle verità di cui si occupano gli scienziati, i sociologi, gli psicologi, gli storici, i giornalisti e ovviamente anche quei filosofi che sono del tutto privi di «shining» letterario, giacché quelle che lei non cessa di cercare nei libri degli scrittori che ama sono appunto quelle ingarbugliate verità umane sulle quali soltanto la grande letteratura riesce talvolta a gettare qualche ammaliante raggio di luce. Per chiarire la natura delle verità che solo l'assidua frequentazione di quel luogo che un grande investigatore della risorse della letteratura (Maurice Blanchot) chiamò appunto «l'éspace letterarie», riporto adesso alcune righe, datate 26 dicembre 1989, che Marisa Volpi buttò giù dopo aver ricordato la tranquilla, imperturbabile lucidità con cui suo marito aveva previsto quel crollo del comunismo al quale la morte gli aveva purtroppo appena impedito di assister: «L'immagine dentro di me è quella di un bambino che corre disperatamente lungo una spiaggia deserta. Verso dove? L'Étretat o un promontorio del Baltico vicino al lago di Baily? O Fiascherino? Si siede su un asse di legno umido. A che cosa pensa quel bambino che morirà? Le luci d'inverno deformano le figure, appaiono tristi, incerte. Il bambino è impaurito. Forse è troppo solo. Si domanda perché l'hanno lasciato con un cane, perché se ne sono andati. Poi la dolcezza vince, il bambino chiede aiuto, abbraccia il cane, scavalca le reti, torna a casa. Ma l'uomo avrà dentro per sempre un bambino abbandonato». E questo è soltanto uno dei tanti piccoli esempi di «verità letteraria» contenuti in questo libro davvero sorprendente per l'insolita combinazione di acume e tenerezza che esprime.

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