Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di LIDIA LOMBARDI C'è un tourbillon di pubblicazioni, convegni, studi, dichiarazioni, scoperte e riscoperte attorno ai vent'anni dalla morte di Alberto Moravia.

default_image

  • a
  • a
  • a

Ese in fondo di Alberto Pincherle adesso non ci si ricorda molto, se i giovani non lo leggono, se all'estero è uno sconosciuto, se insomma fu raramente vera gloria, l'occasione della ricorrenza ravviva la retorica di certi intellettuali che vedono rianimarsi gli dei del proprio Pantheon. Evviva, in questo scorcio di 2010 si ricelebra Moravia (è appena finito a Milano un convegno della sua casa editrice, Bompiani, con il panegirico firmato ieri l'altro sul Corrierone da Tonino Guerra), ma anche Italo Calvino, del quale ricorre il quarto di secolo dalla scomparsa e che è «festeggiato» con profluvie di terze pagine, riletture, e via elencando. Sia chiaro, è giusto ricordare autori che hanno avuto un posto nelle cronache letterarie, che hanno vinto premi Strega, che hanno dato al cinema grandi personaggi, come La Ciociara. E che hanno fornito con la loro stessa persona squarci di com'era il nostro Paese. Ma è l'agiografia che dà fastidio. Il ritrovarsi in un nuovo secolo con il metro di giudizio di un secolo fa. Prendiamo per esempio il volume «Alberto Moravia - Lettere ad Amelia Rosselli» appena pubblicato da Bompiani. Raccoglie il carteggio di Moravia con la amata zia insieme con altre missive familiari e con alcune poesie. Lo cura Simone Casini, italianista ed esegeta dell'autore de Gli indifferenti, impegnato nella maratona dell'edizione delle opere moraviane, giunta al quarto volume. Nel libro si tocca ovviamente il rapporto tra Moravia e Nello e Carlo Rosselli, figli di Amelia e cugini del Nostro. I due fratelli, protagonisti della lotta antifascista, furono assassinati in Francia nel 1937 da sicari inviati dal regime italiano. E nello stesso periodo Moravia, l'ebreo Moravia, vive con affanno nel clima politico generato dalla dittatura, che giunge a censurare alcuni suoi scritti disfattisti, insomma tout court antifascisti. Tutto questo però non spiega l'atteggiamento opportunistico tenuto dal giovane Alberto dopo la tragica morte dei cugini. Smise di scrivere ad Amalia, che addirittura dall'America, dove era fuggita, di lui dice: «Non ne so da anni nulla, essendosi egli iscritto nel fascismo, o almeno non avendo più contrastato ad esso». Lo scrittore più tardi si giustificherà con la zia parlando di mancanza di «coraggio». E però continuò a incontrare per anni, dopo l'omicidio dei Rosselli, Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri all'epoca dell'imboscata a Parigi, e il suo segretario Filippo Anfuso. A Ciano - ricorda Casini - Moravia si rivolse nel 1940 per facilitare la pubblicazione del suo romanzo La mascherata, come aveva fatto nel '35 quando aveva terminato Ambizioni sbagliate. Ad Anfuso si appellò nel 1939, dopo aver stretto amicizia in Grecia con il fratello, addetto culturale ad Atene. «Tramite questi - scrive Casini - si rivolse poi al potente gerarca fascista, a quanto pare per raccomandare l'amico Guttuso». Ancora più inquietante è la consuetudine epistolare che Moravia nel dopoguerra mantiene con il critico Giacomo Antonini. Costui «era il rappresentante editoriale di Bompiani in Francia». Mimmo Franzinelli lo ha definito «l'ineffabile Antonini» perché con i Rosselli aveva fatto il doppio gioco. Era entrato in Giustizia e libertà, il movimento fondato oltralpe dagli esuli antifascisti. Aveva conquistato la fiducia di Carlo e Nello. Ma spiava le loro mosse, informandone la polizia e avendo dunque un ruolo, pur inconsapevole, nell'agguato che eliminò i Rosselli. Moravia conosceva Antonini dagli anni Trenta. Certo, non sospettava nulla. Ma continuò a contattarlo fino agli anni Sessanta. Nonostante il nome della spia fosse stato pubblicato come tale nel 1946 dalla Gazzetta Ufficiale. Poteva Moravia non sapere? Probabilmente sapeva e accettava, per quel «menefreghismo» che è stato tratto peculiare del suo carattere. Del resto di opportunisti, se non di voltagabbana, è piena la storia. Quello che stupisce, invece, è la propensione assolutoria che ancora vige. Casini registra la codardia di Moravia con puntiglio. Però lo assolve, liquidando invece come faziose e scandalistiche le interpretazioni tra gli altri di Roberto Festorazzi, - il giornalista autore di Il segreto del Conformista - «insensibili tanto al merito letterario e alla complessità culturale dell'opera moraviana quanto alle ragioni dell'antifascismo in esilio, che ricerca nelle ambiguità di Moravia - che sono ambiguità di scrittore e non di politico - gli argomenti cifrati per sottolineare riduttivamente una sua cattiva coscienza...». Ecco, sta qui lo stucchevole della difesa ad oltranza di Moravia: «ambiguità di scrittore e non di politico». Che significa? Tutti possiamo essere ambigui, deboli. Ma come scindere arte e idee in un autore fin dai primi vagiti politicamente orientato? Non serve mica la tessera di partito a testimoniare come la pensiamo. Moravia era antifascista nei romanzi, ma cercava favori dal fascismo. E non era schizofrenico.

Dai blog