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Sonno di destra

Filippo Tommaso Marinetti

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È una vecchia storia. La destra, maggioritaria nel Paese è culturalmente minoritaria al contrario della sinistra che è massicciamente presente in tutti i "luoghi" in cui si esercita l'intellettualità ed è perciò in grado di arare la società seminando le sue idee che prima o poi troveranno terreni sui quali fruttificare. La perenne lezione gramsciana, insomma, che l'articolato e composito fronte antiprogressista non ha mai voluto apprendere, dimostrando una miopia prossima all'autolesionismo e ritenendo che la politica senza idee possa più facilmente conquistare le masse. Può accadere, ma esaurita la spinta propulsiva, che cosa rimane? Ce lo chiediamo da tempo immemorabile e di fronte alle innumerevoli manifestazioni culturali, a cui si è riferita ieri su queste pagine Lidia Lombardi, promosse in ogni dove dalla sinistra (o da quella che si professa tale ed è incerta sulla sua stessa identità) restiamo alquanto sconcertati nel constatare l'inerzia di chi pure potrebbe da destra (amministratori, enti culturali, case editrici, istituzioni pubbliche) favorire l'espansione di diverse ed opposte tendenze non per ambire alla costruzione di nuove egemonie, quanto per far risaltare un pluralismo che è nei fatti, ma risulta paradossalmente negato dall'evidenza. Ci sono voluti decenni perché grandi autori venissero tratti dal "cattiverio" nel quale l'intellighentia di sinistra li aveva confinati con il risultato che oggi, com'è giusto che sia, non appartengono a nessuno ma si offrono a tutti con la loro grandezza: da Pound a Mishima, da Hamsun a Cèline, da Drieu La Rochelle a Marinetti, da Gentile a Prezzolini, da Eliot a Guènon, da Junger a Cioran, da Schmitt a Heidegger, soltanto per citare le "scoperte" più significative e clamorose da parte della sinistra intellettuale. A tanto dispiegamento di attenzione, comunque, non ha fatto seguito nessuna significativa e continuativa azione sul versante della destra nel qualificarsi culturalmente dinamica, assicurando protagonismo e visibilità a quella parte dell'intellettualità che si riconosce nei suoi valori o che, comunque, non è appiattita su posizioni conformiste. Scrittori, poeti, saggisti, pensatori - perlopiù giovani - sono quasi costretti ad una sorta di "carità" da parte di chi, meno fazioso, non li scarica pregiudizialmente. A parte poche eccezioni (assessori alla cultura o qualche associazione quasi sempre privata) a destra, insomma, è un deserto. La Lombardi, nella sua spietata analisi, sostiene che la destra non coltiva l'intellettuale e pretende da lui "una rendita politica immediata". Essa, aggiungo, si disinteressa della cultura per il semplice fatto che buona parte del suo personale politico non ha una formazione tale da fargli ritenere prioritario l'investimento nella cultura. Potrà dispiacere a qualcuno, ma è così. E la constatazione mi addolora praticando da decenni questo campo nel quale, può sembrare strano, nel passato, pur in assenza di mezzi, si produceva di più in termini di elaborazione intellettuale al punto che significative spinte alla proposizione di grandi scrittori "maudit" sono state favorite da giovani, ahimé non più tali, che si interrogavano sul pensiero negativo e sulla rivoluzione conservatrice, sull'esoterismo e sulle molteplici vie dello spiritualismo, sul sacro e sulle radici identitarie. Bisognerebbe rileggere le migliaia di atti di convegni, simposi, congressi, incontri che ha ebbero quali protagonisti innumerevoli esponenti dell'intellettualità conservatrice o di destra, dall'immediato dopoguerra alla seconda metà degli anni Ottanta, per rendersi conto di ciò che si è perduto. Una destra di carta, insomma, ma quanto ricca, scintillante e seducente... Ci si dovrebbe porre la questione di ricomporre la frattura tra politica e cultura a destra, rilanciando non tanto il modello gramsciano (che era poi quello gentiliano), ma innestando nelle famiglie intellettuali post-novecentesche tutti i riferimenti possibili ed immaginabili che rimandano ad una visione del mondo e della vita non riducibile a determinismo materialista, né tantomeno al nichilismo relativista. E, dunque, bisognerebbe immaginare contaminazioni tra modernità e tradizione come ci hanno insegnato alcuni degli autori sopra citati. La destra saprà coltivare una tale ambizione nel tempo della ricerca delle idee senza parole, dopo aver subito le parole senza idee di una sinistra che oggi a malapena balbetta?

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