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Azioni e obbligazioni raccontano come eravamo Ecco la prima mostra

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Neavrà raccontato a malapena il bisnonno dei primi gestori dell'hosteria Cuccurucù, aperta sul greto del fiume, dove correva la strada ferrata. La tratta Roma-Civita Castellana-Viterbo diventava presto campagna. Il quartiere Prati era in costruzione, i vagoni trasportavano per lo più materiali edili. Quel pezzetto di Roma sparita lo potete vedere nella sede de «Il Tempo». Incorniciato come un quadro, ecco un bigliettone decorato liberty, con vedute di Roma, un timbro e la scritta: «Action de capital de 100 fr. au porteur». È un titolo azionario d'antiquariato. Della società proprietaria della ferrovia. Vale tra i cinquanta e i cento euro. Ed è uno dei pezzi presenti oggi nel salone tutto stucchi dorati di Palazzo Wedekind in una mostra d'assoluta novità. Si espongono obbligazioni e titoli azionari antichi, ovvero i pezzi di carta emessi da banche, imprese, Stati preunitari e poi dal Regno d'Italia e dalla Repubblica. L'idea è di Alfonso Meomartini, responsabile di area di «Südtirol Bank» (nel pomeriggio sullo sfondo della mostra il forum «Investimenti finanziari? Come, quando e perché rispondere di sì») che spiega a Il Tempo: «È un collezionismo ancora di nicchia. In Italia conta diecimila affezionati. Ma è in fortissima crescita, sulla scia dell'Austria, della Germania, della Francia soprattutto, il Paese dove venivano stampati tutti i titoli d'Europa. Questa rassegna vuole anche creare attenzione per il settore». Dice Giovanni Nicotera, proprietario di molti dei cimeli in mostra: «Il nostro hobby si chiama scripofilia, dall'inglese scrip, certificati azionari. Un campo tutto da esplorare. Non esiste catalogazione esauriente sicché, con fiuto e fortuna, si può fare l'affare. Dalla cassaforte del nonno o su una bancarella talvolta spunta il pezzo che vale migliaia di euro». Più antico, più bello, più raro: ecco i requisiti che fanno lievitare il prezzo di un esemplare: «Ci sono fogli dipinti a mano, quelli firmati da personaggi come Agnelli. Se poi di mille azioni emesse, magari nel 1920, non se ne trovano più di cento, perché la muffa, un incendio, qualche altro accidente ha distrutto tutte le altre, beh, ciò che resta è prezioso». La scripofilia può diventare un'ossessione: «Conosco chi acquista duemila pezzi di un medesimo titolo, per poi gettarne 1999 e tenersi l'unico rimasto, rendendolo così di culto», rivela Meomartini. Che racconta ancora: «Esponiamo un titolo del Newclastle che reca il nome dell'acquirente, il campione Beckenbauer. Se si tiene conto che i giocatori non potrebbero comprare azioni di società quotate in borsa, si capisce quanto vale. Ce ne sono anche di Pelè. Ecco perché i collezionisti li tengono in banca, come l'artenteria». Ma intriga anche la Storia che titoli e obbligazioni narrano. Confida Nicotera: «In giro ci sono spesso pezzi emessi da società fallite. Vestigia di vicende sfortunate o folli, geniali o truffaldine. Dietro quei fogli si leggono destini tragici. Posseggo l'unico certificato azionario della Banca Romana, l'istituto che a inizio Novecento rovinò schiere di risparmiatori e ribaltò la politica. Ogni volta che lo guardo ripasso una pagina dell'Italia che fu».

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