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Cinema, la ricetta di Tornatore: "I film sono arte ma anche business"

Giuseppe Tornatore

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Il premio Oscar Giuseppe Tornatore, nominato presidente della giuria del prossimo Festival internazionale del Film di Roma (28 ottobre-5 novembre 2010), si consola per l'esclusione dagli Oscar del suo film «Baarìa», girando in questi giorni un documentario su Goffredo Lombardo e mandando on air (da domenica) un leggendario spot della Coca-Cola da lui firmato. Tornatore celebra così il mito della formula segreta della Coca-Cola, inventata dal farmacista di Atlanta John Pemberton alla fine del XIX° secolo, e quella della felicità in tavola, riscoperta da una mamma italiana negli anni Cinquanta.   Tornatore, come cambierebbe la kermesse capitolina? «Non credo che guidare la giuria di un festival cinematografico autorizzi a condizionare lo stile, l'organizzazione e i mutamenti del festival stesso. È giusto che certe tematiche restino di pertinenza della presidenza e della direzione artistica. In ciò Gian Luigi Rondi è maestro insuperabile, sa circondarsi di eccellenti collaboratori, sono certo che anche quest'anno farà benissimo. Resto spettatore all'antica, amo vedere tutto e il contrario di tutto. La varietà dei generi è la vera salute del cinema. Mi auguro di trovare film diversissimi tra di loro». Molti criticano la mancanza di personalità del festival romano... «Forse è troppo presto per pretendere da una Festa del Cinema appena nata di possedere la personalità e il peso che altri festival si sono guadagnati in decenni e decenni di duro lavoro, e in stagioni molto più fortunate per la settima arte. Capisco che a qualcuno una grande festa cinematografica per i giovani possa oggi sembrare poco. Riparliamone tra qualche tempo». Quali film le piacciono? «Apprezzare "Il nastro bianco" non mi impedisce di amare "Avatar". Sono legato alla filosofia di una programmazione in cui generi e autori lontani tra di loro per storia e cultura possono convivere nello stesso luogo. Una volta era soltanto la sala cinematografica, adesso è divenuto uno spazio molto più vasto e complesso, ma la sostanza per me rimane la stessa. Un bel film non è mai il prodotto di una ricetta. Altrimenti esisterebbero solo buoni film. Esso è frutto di energie ed equilibri difficili da programmare. Ecco perché non mi persuade che, in materia di cinema, si parli di paesi emergenti. Il cinema è come l'agricoltura, ci sono annate buone e annate cattive per tutti». «Baarìa» è stato escluso dagli Oscar. Stessa sorte è toccata l'anno scorso a «Gomorra». Il nostro cinema non piace più agli americani? «Non lo so. Quella dei gusti e dello scambio culturale tra mondi diversi è una materia così complessa da districare che ogni schema analitico mi appare inutile. Il problema non è se il nostro cinema riesca o non riesca a piacere agli americani. Ma a forza di ripetere a noi stessi e al mondo intero che il cinema italiano è in crisi, che non è più quello di una volta, che è moribondo, e tutte le lamentazioni di cui andiamo autoflagellandoci da più di quarant'anni, alla fine temo che gli stranieri se ne siano convinti più di noi. Insomma se sapessimo promuovere il nostro cinema all'estero con la stessa efficacia con cui siamo stati capaci di diffondere il concetto della sua fine, i nostri film avrebbero più successo di quanto si possa immaginare». Nei nostri festival siamo sempre pronti ad accogliere i film made in Usa, complessi italiani d'inferiorità? «Non direi. Basterebbe pensare all'importanza che la Mostra di Venezia ha mostrato negli ultimi anni per cinema Asiatico. In quanto a quello Hollywoodiano non parlerei di complesso d'inferiorità. Essendo quella Usa la cinematografia più forte nel mondo, soprattutto in termini di popolarità, è normale che i direttori dei festival ne tengano conto nelle loro campagne acquisti». Cosa sta girando in questi giorni? Corre voce che parteciperà al prossimo festival di Cannes... «Sto girando un documentario su Goffredo Lombardo, il produttore del mio film d'esordio. In quanto alle voci su una mia partecipazione al prossimo Festival di Cannes non saprei come commentarle dal momento che il mio nuovo film lo sto ancora scrivendo. Non vorrei dire che persino il chiacchiericcio del cinema italiano non è più quello di una volta». Crede siano stati troppi i tagli alla cultura e al cinema fatti dal ministro Tremonti? «Il governo fa malissimo a considerare la cultura un accessorio di cui il nostro Paese può fare bene a meno, umiliando intere categorie di operatori che vivono della loro creatività e che portano avanti i loro progetti con grandissimi sacrifici. Ma nello stesso tempo non si può pretendere che il nostro cinema debba dipendere solo dai finanziamenti pubblici. Occorre ritrovare slancio e coraggio produttivo, allargando gli orizzonti della nostra industria troppo a lungo legata al mito del made in Italy». «Avatar» in soli 41 giorni ha raggiunto il recorod del film con maggiori incassi nella storia del cinema: crede nella rivoluzione del 3D? «"Avatar" l'ho visto e mi è piaciuto. Il catastrofismo di chi teme che nel dopo "Avatar" non ci sia più diritto di cittadinanza per un cinema a forma d'uomo, non mi convince. La grande rivoluzione digitale, di cui il 3D è solo un aspetto, aiuterà tutto il cinema. Si tratta di essere all'altezza e saper fare i conti con le nuove opportunità che essa ci offre. La stessa cosa che seppe fare la comunità cinematografica internazionale nel doloroso passaggio dal muto al sonoro». Tre consigli ai giovani che vogliono fare cinema. «Saper capire veramente se il cinema è la propria vocazione o se non si tratta solo di una sbandata. Saper ascoltare il parere di tutti ma seguire solo il proprio istinto, anche se le due cose dovessero coincidere. Non credere mai che in questo mestiere si possa imparare tutto».  

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