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Manidoro e suor Priscilla L'irreale umanità di Montelfo

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GiuseppeAmoroso Al risveglio nella sua stanza il Nonno Stregone vuole la prova certa di essere ancor vivo nel solito mondo. Siamo a Montelfo, paese dal clima "avvelenato", dove i fantasmi "appena svegliati escono dalle crepe dei muri del castello diruto". Un'atmosfera stravolta, frastagliata nei piccoli rumori delle cose, avvolge figure perse in una favola, sagome vaganti in un fruscio di dettagli animati che chiudono nel medesimo sortilegio tutti gli elementi di uno stordito paesaggio arcano. L'illuminazione discreta e fioca, ma come prodotta da una fonte pericolosa e inquieta, degli sfondi di «Pane e tempesta» (Feltrinelli, pp. 251, euro 16) di Stefano Benni accarezza piccoli episodi sospesi, microavventure di sfigurati eroi dell'impossibile (si pensi agli "intrepidi periferici di Elianto), epicentri di un circolare ritmo che chiama e disperde le azioni intorno a un irreale Bar Sport. Un'indelebile vernice di sorriso permette all'autore di definire storie misteriose, fantastiche, anche dove esse tendono ad assecondare umori quotidiani. Questo colore antico di sapienza e di gioco letterario si posa sul presente e sui ricordi, dischiude un ampio arco di motivi, li dissemina su vari registri, dall'elegia sottile all'epica domestica, dalla commedia all'assemblaggio picaresco, all'analisi di costume, in un caustico linguaggio metaforico. Come uscendo da un sogno ma carichi del peso del reale compaiono gli adolescenti Alice, amante della natura, e piombino, che parla con gli gnomi; Gianco, sempre vestito di nero e suor Priscilla con il suo album di seimila santini; Curnacia, il menagramo e il leggendario Ispido detto Manidoro; Tramutone, grosso e gioviale, e l'oste Trincone; il pastore Tore, che scopre il web, e Ciccio Misero, fanciullo grasso e trasandato. E poi il Pulcino Killer e civette, gufi "amplificati dal microfono", e due cuochi memorabili, nani pelati ed elfi "gioielloni" e le "femmine del bar": nel funambolico intrico dell'affanno e nel mattino di "un giorno futuro", mentre i rumori cessano e il bosco si pietrifica in un silenzio immobile. Immaginifico, il racconto rappresenta l'assoluto gelo della solitudine in un risonante universo apocalittico e il corposo colore del coro, il disorientamento di creature prive di ancoraggio e perse in una tempestosa follia, di scene portentose e anche stilizzate nella loro deformazione sulla quale soffia il respiro di un creato vigile e malizioso. Scene che sfidano la logica e le chiedono sotterranei consensi (come, per esempio, nel Bar sotto il mare e in Margherita Dolcevita) per dare forza ai meccanismi dell'equivoco sotto cui cadono i confini tra eventi centrali e periferici e si intravedono i segnali di profonde verità.

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