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Quel deserto pieno di vita visto da Mariarita Stefanini

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Corredato da una lucida prefazione di Milo De Angelis, questo scenario si innerva di osservazioni e pensieri "vergini di luce". La poetessa si inoltra in un meandro che sembra di un'altra terra e di un'altra materia. Il tu al quale si rivolge è solo apparentemente un'astratta figura, una lunare entità. E' invece un tu sapiente che si vede e non si vede (e che incarna la madre, il padre, l'amato). Il linguaggio della Stefanini si fa rarefatto e incisivo dall'inizio alla fine: "Quando finirà il tempo / avremo spazi nuovi / altri già li chiamano, altri / che devono arrivare". Questo spazio illimitato è evidentemente un paradiso di anime che salgono, un filtro dell'aldilà. Il cammino cerca indizi, parafrasando un verso, in una veglia lenta e buia. Ma qualcosa si vede all'orizzonte. Il deserto diventa allora carico di memoria. Il grande sogno è compiuto: come in un girone dantesco la salvezza e l'apparizione si danno la mano fino a suggellare l'incontro con l'estasi mistica dei santi. Alessandro Moscè

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