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Alla biennale di Venezia il meglio resta fuori

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Il vero protagonista è l'imprenditore francese Francois Pinault con la sua collezione che viene presentata alla grande non solo a Palazzo Grassi ma soprattutto negli straordinari spazi appena aperti di Punta della Dogana presi in concessione dopo una gara d'appalto vinta a discapito della Guggenheim Foundation. La ristrutturazione realizzata da un geniale architetto come Tadao Ando è a dir poco eccezionale perché rispetta la bellezza delle sale ed apre inaspettati angoli visuali sulla laguna che fanno dialogare interno ed esterno. L'ossessione dell'incubo nazista è il filo conduttore di due fra le opere più significative: la «Dancing Nazis» di Piotr Uklanski che porta a Palazzo Grassi una specie di gigantesca discoteca sormontata dai ritratti di celebri attori che hanno interpretato il ruolo di ufficiali nazisti e lo sconvolgente «Fucking Hell» di Jake e Dinos Chapman, a Punta della Dogana, con nove gigantesche scatole di vetro che racchiudono la rappresentazione con migliaia di figure in miniatura di un lager nazista e dei suoi orrori, con tanto di Hitler che dipinge una veduta di questa inesausta carneficina. Ma di grande impatto poetico è anche l'installazione di Mike Kelley con decine di mini città da fiaba realizzate in vetro di Murano ed illuminate in modo tale da ricreare un'atmosfera fiabesca. E poi non si possono dimenticare gli intensi omaggi di Richard Prince a De Kooning o i bellissimi quadri di Sigmar Polke e Twombly. Insomma, una collezione strepitosa presentata nel modo migliore possibile. La Biennale di Arti Visive ideata da Birnbaum e premiata anche da ben 77 partecipazioni nazionali è apollinea e ben allestita, finalmente non si è sommersi da opere votate solo a stupire con effetti shock o ossessionate da incubi funerari. Però nel complesso risulta poco incisiva e stimolante, sembra il compitino pulito di un buono studente senza troppe ambizioni. Ben poche sono le opere memorabili, quelle capaci di spalancare davanti agli occhi del visitatore una nuova visione del mondo. Molti lavori sembrano quasi nati dalla preoccupazione degli artisti di occupare i grandi spazi disponibili nel modo più dignitoso possibile ma senza grandi intuizioni. Una buona notizia è quella di vedere il ritorno dell'astrattismo in forme rinnovate e portate a livello di installazione ambientale. In assoluto uno dei lavori più vitali ed intensi, capace di spiccare nettamente fra tutti, è «Human Being» di Pascal Marthine Tayou che ricostruisce un piccolo villaggio africano con tutti i suoi caotici rumori e colori, pronto ad iniziare un dialogo difficile ma sorprendente col mondo circostante.E degna di nota è pure l'opera di Chu Yun che nel buio della sala trasforma in poetico canto di luci sospese l'affollarsi di decine di spie accese di comuni elettrodomestici

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