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Califano sogna il matrimonio

Franco Califano

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{{IMG_SX}}«In questo periodo ci penso spesso, lo ammetto». A cosa, Califano? «A sposarmi». Questo è uno scoop. E la candidata? «Non c'è. La sto cercando da una vita. Una donna da amare per sempre e non per una notte. Non la trovo perché pretendo troppo. Molte sono rimaste indietro. A me le signore piace educarle sessualmente, e spesso si spaventano, quando vedono che coniugo la passione con una spruzzata di pornografia». E quelle scappano. «Sì. Ma poi mi ringraziano. Si sposano qualcun altro, e quando si separano sono il primo cui telefonano». Possibile che tra 1500 conquiste... «Forse la donna che cerco non esiste. A volte mi illudo, sopratutto quando consento alla partner di dormire nel mio letto, dopo. Quando si lascia insegnare come si bacia». Provi con una coetanea. «Fossi matto! Una 45enne, quella sì. Lo dico sempre ai giovani: andate con le mature, sennò che imparate?».  E se ha dei figli piccoli? «Amerei farli crescere. Certo, se è madre di un 25enne che mi sfila cento euro al giorno...». Lei quanti ne ha fatti? «Se vai in giro a seminarne sei un incosciente. Mica sono Vasco. Ho una sola figlia, nata quando avevo 19 anni. Il mio matrimonio era già finito, e all'epoca l'abbandono del tetto coniugale era un reato. Ho visto la bambina quando aveva 14 anni, ma non ho mai svolto il ruolo di padre. Quanto alla mia ex moglie: sono fatto così, prendo il coraggio a due mani e dico basta. Le mie compagne prima mi rimproverano poi, nel tempo, mi ringraziano». Due grandi amori dichiarati: Mita Medici e Dominique Boschero. «Mita aveva 17 anni, io dieci di più. I tempi del Piper. Ma era una storia regolare, fatta di weekend e appuntamenti alla luce del sole. Una relazione normale, un po'...impiegatizia ma pulita».  Le altre 1498? Fuori i nomi famosi. «Figuriamoci. Sarebbe un best seller mondiale». La follia più grande fatta per una donna? «Volai in Germania per darle un solo bacio. Avevamo dieci minuti. Lei era famosa».  Però, Maestro, se si sposa diventa un marito. Con tutti i rischi del caso. Quanti cornuti l'hanno affrontata? «Due volte me la sono vista bruttina, ma io vengo dal marciapiede, li ho convinti a fare i bravi. Uno ha apprezzato la mia spiegazione. Gli ho detto: "se tu non te scopi tu moje pe' tre anni, che pretendi? Come amante, t'ho salvato la famija"».  Un capolavoro del vecchio playboy. «Eravamo in quattro: io, Gianfranco Piacentini, Gigi Rizzi e Beppe Piroddi. Quando entravamo nei locali scricchiolavano le sedie. Nessuna invidia tra noi, tante erano le ragazze che ci cadevano ai piedi. Ricercavamo l'eleganza. La Dolce Vita morì lentamente perché non avevamo eredi. Quel periodo era irripetibile. Tutti avevano voglia di vivere. Oggi se sorridi sei considerato un frivolo. Devi far vedere che hai problemi».  I giovani? «I cantanti non sono umili. Sognano di fare autografi e quando è il momento li rifiutano. I loro coetanei mi invitano nelle università, mi considerano un maestro di vita, mi chiedono del sesso, del perché finiscono gli amori. A New York, 25 anni fa, ricevetti una laurea honoris causa in Filosofia. Credevo che Schopenauer fosse un terzino della Germania, ma ho saputo raccontare cos'è la noia. A me prende a volte in mezzo alla gente. So godere della solitudine. Ci sono giorni che rimpiango le motivazioni che mi dava il carcere. Se dentro ti senti libero la cella non è nulla, a meno che non ti mettano le manette al cervello. Sono sempre risalito dalle buche trovate nel percorso della vita». Tortora no, invece. «Enzo uscì di galera legandosi a Pannella e io finii dentro al posto suo. Quel processo aveva bisogno di imputati illustri, come già era successo con Chiari. Quando Walter era stato rilasciato, toccò a me "sostituirlo", con la mia faccia da colpevole. Ero un tappabuchi ideale, non piangevo, non combinavo casini. Prima di essere rilasciato mi abbronzavo in cortile, non volevo mi vedessero stravolto». Se incontrasse Melluso, il pentito che la accusò? «Mi verrebbe voglia di dargli una coltellata. Per un riflesso condizionato mi informo sempre di dove va, di cosa fa. Non gli conviene andare troppo in giro. Durante il confronto mi trattennero i carabinieri. Mi diceva: "Franchino, ti ricordi di me..."». Craxi invece le fu vicino. «Ne ho un bellissimo ricordo. Gli scrissi una lettera: "Presidente, lei sa che io sono innocente e che i processi iniziano dopo anni...". Lui mandò un suo uomo dal mio avvocato. Avremmo "inventato" un mio malore, per farmi ricoverare nell'infermeria del carcere. A quel punto il medico arrivato dall'esterno, impugnando il referto, avrebbe ordinato il mio ricovero in clinica. E così andò. Craxi mi tirò fuori». Silvio e Noemi? «La sinistra fa veramente pena. Alla vigilia delle elezioni sono questi gli unici argomenti dell'opposizione? Come ha scritto qualcuno, se Berlusconi muore quelli di che parlano? Nessuno ama l'Italia più del premier. E vogliono metterlo alla berlina perché conosce una diciassettenne o ne invita trenta in Sardegna? Lo lasciassero lavorare: c'è la crisi, deve parlare con Obama e con i russi. Altrimenti Silvio dirà: fatevelo voi il governo e andate a quel paese: io me ne vado e mi porto via tutte le pischelle».  Veronica? «Accanto al Berlusca sembra più vecchia lei. Si è accorta all'improvviso che la vita l'ha sorpassata. Ma via». Le polemiche per il suo concerto dell'8 marzo? «Il femminismo non è mai esistito. Sono lagne da frustrate. Le donne le rispetto: ma se una è stronza, è un dato di fatto». Alemanno la fece cantare a piazza Navona per i suoi settant'anni. «È un grandissimo lavoratore, ce la sta mettendo tutta per risanare la città. Bello il progetto della navigabilità del Tevere. E quello del Gp di Formula uno». Veltroni, invece? «Predicava bene e razzolava male. Non mi perdonava di essere anticomunista».  Niente beneficenza per l'Abruzzo? «Ho uno studio ad Avezzano, ma non ci sono andato, dopo. Detesto le parate. E ai miei colleghi che organizzano i concerti chiedo: quanti sms avete mandato per l'Abruzzo, senza dirlo in giro? Io cento al giorno». Parliamo del nuovo cd "C'è bisogno d'amore"? «Ci ho messo quattro anni per farlo. Dodici pezzi, otto inediti e quattro classici. Con Federico Zampaglione dei Tiromancino ne "La nevicata del '56", la magica tromba jazz di Fabrizio Bosso in "E la chiamano estate", Nicky Nicolai in "Allora sì", che avevo scritto tanti anni fa per Mina, e Simona Bencini dei Dirotta su Cuba in "Quello che non sappiamo". C'è tutto me stesso, lì. Poi, tra un po', registrerò un disco di mie canzoni romanesche. Sempre che intanto non trovi la dea che cerco da una vita».

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