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Cat Stevens, il mito è tornato «Il mio Islam che offre pace»

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Laluce dell'alba filtrava gloriosa dalla finestra come nella sua "Morning has broken". Il figlio Mohammed aveva riportato in casa uno di quegli strani arnesi con cui si possono materializzare incantamenti. Una chitarra. Yusuf non ne aveva presa in mano una da tanto tempo, dopo che suo fratello, nel 1976, gli aveva regalato quel libro destinato a cambiargli la vita - il Corano. Provò, per gioco e curiosità, a comporre un accordo. «Ero solo nella stanza: e nell'istante in cui premetti le dita sulle corde fu un'illuminazione. La mia mano scorreva sui tasti, in un modo così naturale da sembrare che non fosse passato un giorno, dall'ultima volta». Così, riprese a comporre canzoni. Un disco, due anni fa, "An other cup", come un ponte lanciato fra la sua educazione artistica occidentale e la sua folgorazione religiosa musulmana. E un altro, oggi, con nuovi undici brani che si legano gli uni agli altri come su un prezioso filo di perle. Poco più di mezz'ora: ma il ritorno di Cat Stevens è un capolavoro. Anche se il titolare del disco è formalmente indicato ancora come "Yusuf" (il nome assunto dall'artista anglo-greco-svedese dopo la sua conversione all'Islam), questo "Roadsinger" potrebbe essere tranquillamente il sequel dei suoi classici folk-pop dei primi anni Settanta ("Mona Bone Jakon" "Teaser and the Firecat", "Tea for the Tillerman"), dove il suono esprimeva la prodigiosa semplicità di un'anima disposta a intraprendere nuovi percorsi di conoscenza. Mai, nella storia interiore di Cat, prima e dopo l'avvicinamento ad Allah, vi è stato settarismo: eppure, le sue scelte lo hanno emarginato per decenni dall'ambiente musicale che lo aveva idolatrato. Nel 1989, quando spiegò agli studenti londinesi i motivi che avevano spinto Khomeini ad emanare una "fatwa" contro i "Versetti Satanici" di Salman Rushdie, qualcuno credette che l'artista appoggiasse la terribile risoluzione dell'ayatollah. Ancora, nel 2004, mentre si recava a Washington per una iniziativa di beneficenza, le autorità Usa lo costrinsero a rientrare in Inghilterra dopo averlo dichiarato "persona non grata". Si parlò di un caso di omonimia con un sospetto terrorista, ma per risolvere l'incidente diplomatico ci volle tutta la determinazione del governo britannico. E dire che Yusuf aveva destinato i proventi di una riedizione di "Peace Train" per le vittime dell'11 settembre. Niente. Era rimasto una figura scomoda, di confine tra due culture che si combattono con un furore sepolto da millenni. Oggi, riavvicinandosi al suo "sentire" di musicista puro, può dirlo senza remore: «In un'altra epoca, dopo aver rischiato di morire annegato, avevo scelto un imprevedibile percorso verso Dio. La mia nuova vita da musulmano spiazzò molti. Ancora adesso, tristemente, mi sento spesso frainteso da quanti vorrebbero farmi sottoscrivere le proprie visioni limitate. Ma la mia visione è vasta, e senza confini. La mia priorità è sempre stata la cessazione di ogni conflitto. In troppi, compresi molti miei correligionari, dimenticano che la parola "Islam" in arabo significa "pace"». E il senso profondo di "Roadsinger" è proprio un nuovo viaggio verso la serenità: il personaggio principale è un cantante di strada che entra in una città sconosciuta e viene accolto dal sorriso di un bimbo che cancella ogni pregiudizio. Nel progetto illustrato nella copertina Cat è a bordo di un pullmino Volkswagen, di quelli da mitologia hippy on the road: del resto, lui stesso ha confessato di aver ascoltato, in questi mesi, tanta buona musica degli anni ruggenti (da Joni Mitchell a Elton John, da Carole King a Jackson Browne), e di aver ritrovato così l'antica ispirazione, tanto da registrare il disco praticamente "dal vivo", senza troppe sovraincisioni. La sua voce è un passo verso il superamento dell'angoscia globale: nella meravigliosa "World o'darkness" si dice che "In un mondo così pervaso dalla paura solo una canzone può riscaldarti nella notte". "This glass world" (che fa parte del repertorio del suo musical "Moonshadow", in scena la prossima estate a Londra) racconta di un ragazzo perso in una vita senza più luce interiore. Ovunque, echi di suggestioni lontane, come il passaggio di piano all'inizio di "Be what you must", autocitazione dal suo immortale "Sitting" del 1974. Con lui, amici come James Morrison, Jason Mraz o Michelle Branch. Cat è di nuovo qui: «Sono tornato per aiutare la gente a sentirsi meglio», spiega. C'è riuscito.

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