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Còccioli a piccole dosi In fondo è meglio così

Il cantore Davide, il re-poeta mato da Dante e Petrarca

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E provo a spiegarmi. Carlo Còccioli (Livorno 1920 - Città del Messico 2003) è stato uno degli scrittori più "strani" del nostro Novecento letterario: è vissuto per quasi cinquant'anni in Messico, dove ha scritto la maggior parte delle sue opere (circa cinquanta), quasi tutte tradotte nelle principali lingue del mondo (per una panoramica esaustiva basta visitare il sito www.carlococcioli.com). Scriveva non solo in italiano, ma anche in francese e spagnolo. È stato un "toscanaccio" vitale e tormentato: un omosessuale religioso, un inquieto "cercatore di Dio", che ha cercato nel cattolicesimo, nell'ebraismo, nell'induismo e nell'animismo (si veda Piccolo Karma, più volte ristampato, una sorta di "minutario" sulle piccole presenze trascurate di una casa). Le sue opere sono state stampate e ristampate in Italia con alterna fortuna (i suoi editori italiani sono stati Vallecchi, Mondadori, Rusconi, Baldini&Castoldi, Maremmi); mentre altre, una buona metà, non sono mai apparse sul mercato italiano, e attendono una prima uscita italiana. Per avere un ritratto fedele di che tipo fosse Còccioli, consiglio a tutti di leggere «Novembre 1966: non è successo niente» (Maremmi Firenze Libri), dove non soltanto Còccioli racconta, in controtendenza rispetto alla vulgata generale, la "bellezza" dell'alluvione fiorentina del 1966 (Firenze al buio, e invasa da un fiume da secondo giorno della Creazione, gli fecero gridare che Firenze non gli era mai apparsa così bella), ma dove, in appendice, si può leggere un ritratto gustoso che l'editore Giorgio Maremmi fece di Còccioli, senza omettere tic e difetti clamorosi. Da qualche giorno è stato ristampato dall'editore Sironi, per la cura amorevole e di lunga data dello scrittore Giulio Mozzi, il romanzo "ebraico" «Davide», una portentosa biografia romanzata del leggendario monarca israelita. Proprio come Mozzi, che racconta nella sua introduzione la caccia sulle bancarelle che negli anni ha dato alle opere di Còccioli, anch'io, negli ultimi anni, ho collezionato qualche opera dell'autore tosco-messicano, prime fra tutte le sue opere maggiori: La piccola valle di Dio (1948), Il cielo e la terra (1950) e Fabrizio Lupo (1978). Ho sempre amato, di Còccioli, la tesa libertà religiosa, la capacità di abitare più mondi, l'esotismo, la poesia e la gloria delle piccole cose. E sempre più spesso mi capita, parlando di Còccioli, di notare un grande interesse per la sua opera. Forse gli fu necessario, per abbracciare altri mondi, porsi in conflitto con l'Italia, dove certamente gli editori non capirono fino in fondo la sua importanza; ma è anche necessario ammettere che spesso i conflitti erano alimentati dallo stesso Còccioli, che certo non aveva un carattere facile. Una cosa è comunque certa: Còccioli è stato uno degli scrittori più internazionali del nostro Novecento. E conoscerlo per ondate editoriali (speriamo che l'editore Sironi stampi e ristampi in futuro altre opere), magari anche con nuove traduzioni, non deve più avere, a mio avviso, il sapore amaro del "risarcimento", ché Còccioli fu amato in passato da una importante "minoranza" (da Carlo Bo a Tondelli), e continua ad essere molto amato anche oggi. Leggerlo con il contagocce, con sempre nuove scoperte, non può che aumentare l'eccitazione per un autore tutto da scoprire e riscoprire, soprattutto negli anni a venire.

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