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Aida star trek all'Opera di Roma

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Aida all'Opera di Roma

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Nell'allestimento del Covent Garden di Londra e del Teatro La Mannaie di Bruxelles, ora approdato all'Opera di Roma, Wilson compie un processo analogo a quello di Gluck, solo che la musica di Verdi è tutt'altro che neoclassica ed illuministica, bensì fortemente segnata dalla trascinante temperie del romanticismo. Conclusione: un'Aida metafisica dove sono deliberatamente annullati gli orpelli (animali in scena, processioni cerimoniali, flabelli, segni di potere e di sfarzo) che rimandino alla precisa collocazione storico-geografica. Sicchè l'arrivo del Faraone bianco-fasciato finisce col sembrare piuttosto quello di un'astronave di alieni in Star Trek. L'Aida diventa così - passatemi il gioco di parole - opera asettica e non esotica, magistralmente fasciata di luce, segnata da una gestualità ieratica e bidimensionale con costumi neutri (non differenziano a sufficienza, ad esempio, la figlia del Faraone dalla sfortunata schiava etiope), per non dire delle movenze da «belle statuine» del balletto con costumi di foggia clownesca e movimenti robotizzati. Insomma la staticità la fa da padrone e protagoniste restano voci e luci, ma queste ultime sul fondo o riducono le figure ad anonime silhouettes da teatro nero o lasciano sempre in ombra i protagonisti, illuminati appena nella loro angosciante solitudine da «occhi di bue». L'Egitto, terra di sole a picco tra mare e deserto, si configura così piuttosto come una brumosa Tule nordica alla Strindberg o alla Ibsen, dove le voci, come nella desolata landa dell'ultimo atto della Manon Lescaut, sono abbandonate a se stesse. In compenso l'esecuzione musicale di Daniel Oren ha fornito alla partitura una temperatura incandescente, mentre il cast vocale non sempre all'altezza di una serata inaugurale con un'Aida (la cinese Hui He) scenicamente insignificante, una Amneris (Giovanna Casolla) esperta ma vocalmente non plausibile nell'intero registro, un Radames (Salvatore Licita) inadeguato alla fama di successore di Pavarotti, frettolosamente affibbiatagli. Nella norma l'Amonasro di Ambrogio Maestri e il Ramfis di Carlo Colombara, tutti naturalmente immobili in scena. Il pubblico non poteva non dividersi tra critici e convinti. Battimani e fischi hanno ingaggiato un braccio di ferro. A chi gridava «Ridateci l'Aida» la parte avversa replicava «Fossili». Un grande uomo di teatro può rileggere un melodramma, ma alla fine conta la suggestione che ne deriva. L'operazione-Wilson ha spaccato il pubblico.

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