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Nei suoi romanzi gli echi della terra amata Affidava alla penna l'inquietudine nell'anima

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La nostra penisola, da sempre, include ed esclude mode e personalità secondo un criterio ai più sconosciuto o imprevedibile. In realtà, gli anni attraversano correndo ciò che è stato, e ciò che è stato scritto. E in questo periodo così sensibile alle cosiddette "riscoperte", sorge spontaneo il desiderio di offrire la possibilità di presentare una scrittrice, la cui memoria rappresenterebbe una preziosa occasione di apprezzare nell'espressione più felice il "facile giuoco" appunto, della parola creata. Contribuirà certamente allo scopo, la giornata di studi che la scorsa settimana ha avuto luogo a Roma per ricordare il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Lina Pietravalle. "Da questa gente io sono nata, o Signori, con altero sangue, ferma come le pietre del mio nome, onorata dei difetti sostanziali della mia stirpe, originale come la tradizione che preme di linfa vivace ed agreste le imperiose vene dell'antica feudataria". Questa sono io, direbbe Lina. In un mondo travolto da ideologie totalitarie, pressato da antichi pregiudizi e vuote retoriche, arso dalle ottuse logiche del profitto e umiliato da una sconcertante somma di disumane crudeltà, vive la nostra Autrice (Fasano, Brindisi, 1887-Napoli 1956), tra studi sofferti, due matrimoni di cui il primo infelice, un figlio amatissimo, Lionello, l'attività febbrile di scrittrice e giornalista, e l'amore profondo per la terra d'origine dei suoi genitori, il Molise: "Paese scalzo e disadorno, immelanconito dalla solitudine e irretito dal disinganno...Il Molise, calmo e patetico dei pascoli e delle valli colme di silenzio...". Una produzione (quella giornalistica la vide dominatrice della Terza Pagina de "Il Tempo" dalla fine degli anni Quaranta: i suoi elzeviri duellavano per bellezza con quelli di Gianna Manzini) ricca di umanità e di forza visiva. Il suo linguaggio conosce la capacità di elevare a "universale", ogni angolo della propria esperienza esistenziale, legata alla propria età e ai propri luoghi. Il romanzo "Catene" (Mondadori, 1930), ma soprattutto le novelle raccolte nei "Racconti della terra" (Mondadori, 1924), "Il fatterello" (1928), "Storia di paese" (1930), e "Marcia nuziale" (1932), ripercorrono eventi autobiografici intessuti di fatti trasversali in una composita coralità di personaggi, storie e paesaggi dai toni densi e dalle immagini vivide. Ma su tutto emerge la scrittura che diventa conforto, espressione d'arte, ma principalmente diventa l'amica fedele cui rivolgere il proprio motivo di essere e divenire, la propria esuberanza di donna, di intellettuale e d'artista che incide con le proprie soluzioni morfosintattiche nella capacità di emozionarsi ed emozionare per una drammaturgia limpida nei suoi temi più importanti, potente nella descrizione dei personaggi e dolcissima nel dipingere con eleganza la fragilità degli uomini. Echi della migliore poesia pascoliana e movenze veriste s'incontrano con l'originalità d'intenti di questa scrittrice libera e sicura nel contrastare tabù e pregiudizi, con una levità non estranea ad accenti di riminiscenze classiche. La natura di Lina Pietravalle è un esempio di universo che vibra e s'impone in tuttta la sua potenza e bellezza: "I più bei cipressi della valle facevano ala a fianco della casa, nobili ed altissimi negl'inchini come pensosi cavalieri.", e ancora, "Le verdure prezzolate, grossolane e fresche come bocche campagnole rigavano la terra nera...e i pomodori sanguinavano in lunghe file, ostili e profumati del loro sangue vegetale, lieto come un liquore". E i ritratti dei personaggi escono dalle pagine perfettamente compiuti, come dipinti dalla mano felice di una straordinaria sensibilità. Così è zio Mida: "Era nato grosso e riccioluto come un agnello e cresceva come un putto tornito dalla carne accesa: grandi occhi dorati color tabacco, muscoli ardenti e tendini di bracco. La sua bell

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