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Il poetico arco della vita nel cinema silenzioso di Kim Ki-duk

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IL MARE, una vecchia barca. A bordo, un uomo anziano con un arco che gli serve anche per suonare, come fosse un violino. Con lui una ragazza che ha raccolto bambina e che pensa di sposare non appena sarà maggiorenne; tanto che, su un calendario, segna con cura i giorni in attesa di quella data. Ma, fra i pescatori cui dà in affitto la sua barca, arriva un giovane cui la ragazza guarda con interesse. L'altro, geloso, lo scaccia, ma se lo vedrà ritornare per portargli via la ragazza; con il consenso di lei. Al momento di andar via insieme, però, sarà proprio lei a cambiare idea, per timore della reazione disperata del vecchio. Così ritornerà e si lascerà sposare con un rituale pittoresco. L'uomo, però, ha capito e quello che, per lui e per lei, dovrebbe diventare un viaggio nuziale sul mare, lo interromperà suicidandosi. Consentendo al giovane di farsi avanti. Un nuovo poema di Kim Ki-duk, il grande regista coreano pronto, ad ogni suo film, a portare contributi nuovi alla creazione cinematografica. Questa volta ha privilegiato il silenzio, soprattutto tra quei due che alla fine non diventeranno una coppia. Il vecchio non apre mai bocca: tira con l'arco, ne estrae melodie dolenti, guarda con occhi ora gelosi, ora irritati, ora attraversati da ombre in cui si può intravedere una passione amorosa. Di fronte a lui, la ragazza egualmente silenziosa, prima emana solo candore, ignorando o addirittura non comprendendo le intenzioni dell'altro, poi, con la stessa innocenza, guarda al giovane appena arrivato con gesti inconsci di attrazione e di amore. Fino a quelle nozze sul mare di cui non sembra neanche capire la portata, come forse non realizza fino in fondo i significati per lei, dopo la morte del vecchio, di quel ritorno del giovane cui dovrà, dall'infanzia confinata su una barca, di poter conoscere una nuova vita, finalmente tra la gente. Ritmi lenti, accenti sospesi, immagini di un realismo quieto costruite molto più per suggerire, anziché atti e fatti, stati d'animo solo accennati o, addirittura, lasciati appena sospettare. Mentre attorno il mare, la barca che alla fine affonderà, i tre personaggi principali, i pochissimi altri intorno, anche nel non detto sono proposti sempre in modo incisivo: a chiarire psicologie, reazioni, decisioni improvvise, anche quelle — come il ritorno della ragazza dal vecchio — di cui si lasciano solo intuite le motivazioni inattese. Concorre a questa autentica magia, la recitazione. Scabra in tutti, ma anche sfumata (la ragazza, Han Yeo-reum, si era già vista nella «Samaritana»). E vi occorre la musica, un violino coreano che, anche con le note più dolci, sa straziare.

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