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Arriva Pieraccioni al convegno su «I non protagonisti» del Film festival di Siena

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«Solo i nevrotici fanno tv»

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Pieraccioni ha appena finito di girare il suo ultimo film, «Ti amo in tutte le lingue», da lui stesso scritto con Giovanni Veronesi, prodotto insieme con Medusa e nelle sale dal prossimo 16 dicembre. La storia è quella di Gilberto (interpretato dallo stesso Pieraccioni), un professore di ginnastica, separato dalla moglie e ossessionato da una sua allieva sedicenne, Paolina (Giulia Elettra Gorietti, lanciata da Paolo Virzì in «Caterina va in città»), che s'innamora perdutamente di lui, dichiarandogli il suo amore in tutte le lingue del mondo su foglietti che gli fa trovare dappertutto. Gilberto è disperato, anche perché Paolina lo ha minacciato di morte se lo troverà con un'altra. E un'altra c'è: si chiama Margherita (la trentatreenne attrice spagnola Marjo Berasategui) e fa la psicologa per animali nello zoo di Pistoia. Pieraccioni, come è nata l'idea di questo film? «Un giorno, all'uscita di una scuola delle ragazzine mi hanno apostrofato con battute maliziose che mi hanno fatto diventare rosso. Da qui è nato il mio nuovo film, girato quasi tutto a Pistoia: una piccola città, dove i panni sporchi si lavano nella lavanderia di paese, un argomento che mi sta a cuore visto che io i panni continuo a portarli alla mi' mamma tutti i fine settimana, quando da Roma torno a casa a Firenze. Dal film si capisce che l'innamoramento della sedicenne è sbagliato, perché nasconde la mancanza di una figura paterna. Nel cast ci sono anche Giorgio Panariello nei panni di mio fratello, un po' goffo, che lavora come custode nella mia stessa scuola e m'imita di continuo. Massimo Ceccherini fa invece la parte di un frate, bravo e credibile, mentre Rocco Papaleo è il mio collega di matematica e, nel ruolo del burbero preside, c'è Francesco Guccini, che non canta ma è un'autentica sorpresa come attore: io sono più che un suo fan, sto a Guccini come Emilio Fede sta a Berlusconi. E pure Panariello è straordinario: riesce perfino a somigliarmi come fratello, è tenero e malinconico, come sono i suoi personaggi che porta anche in tv». Nei suoi prossimi progetti c'è anche la televisione? «No. La tv la guardo, ma preferisco fare i film. Le persone che lavorano in tv sono tutte nevrotiche, ossessionate dall'audience e dalla scaletta, soggiogate dal vortice televisivo. Invece, un film quando è finito, non devi pensarci più. Però, posso dire di essere riuscito a portare la tv in teatro per il mio "Leonardo Pieraccioni Show". Ora, mi sembra faticoso pure scrivere un nuovo monologo per il teatro, quindi, penso solo al cinema». Un cinema, il suo, che parla della provincia: perché? «È fin dai tempi de "Il ciclone" che racconto la provincia, una realtà che piace perché il suo microcosmo si ripete in tutto il mondo. Dopo aver girato gli interni a Roma e prima di trasferirsi a Pistoia, il set è stato sulle rive del Lago di Garda, dove la classe va in gita e dove sono state riprese delle scene esilaranti. Sulle montagne russe, sulle quali Paolina mi porta per festeggiare il mio quarantesimo compleanno, la sedicenne si divertirà moltissimo, ma io finirò per vomitare». Quanto sono importanti i non protagonisti nel cinema? «I miei film non potrebbero esistere senza di loro. Negli spettacoli esiste da sempre la figura del clown agusto, ovvero la spalla che prende le pedate, in contrasto con il clown bianco che è il protagonista. Il festival di Siena ha dato finalmente la giusta luce a queste figure fondamentali e, spesso, poco considerate».

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