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Jarrett, un sorriso in trio

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Il pianista, rilassato ed espansivo, trionfa a Roma con Gary Peacock e Jack DeJohnette

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E, per la seconda volta, è stato un trionfo. La Sala Santa Cecilia (imposta come sede al posto della cavea perché il musicista non gradisce esibirsi in luoghi all'aperto), gremita in ogni ordine di posti, alla fine del concerto, ha richiamato Jarrett, Peacock e DeJohnette per ben sei volte alla ribalta e, fatto inusitato, Jarett, uomo per certi versi oltremodo difficile, ha concesso ben due bis, un blues ed una ballad, con cui ha terminato un concerto della durata complessiva di ben un'ora e cinquanta minuti, diviso in due parti con un intervallo di venticinque minuti. Un primo tempo di quarantacinque minuti esatti, un secondo di un'ora e cinque minuti compresi i bis. È stato un susseguirsi continuo di brani celebri tratti dal repertorio dei grandi songwritewrs americani. Abbiamo ascoltato fra gli altri «When I Fall In Love», «I Love You Porgy», «Poinciana» ed altri sei brani fra cui una celebre canzone italiana: «Un'ora sola ti vorrei» scritta nel 1938 da Bertini e Marchetti e lanciata all'epoca dai microfoni dell'Eair dall'orchestra Angelini e ripresa in seguito prima da Ornella Vanoni e successivamente da Giorgia. A significare come molte canzoni italiane degli anni Trenta, perché costruite su un tessuto armonico assai vicino a quello utilizzato dagli autori americani dello stesso periodo, ben si prestano all'improvvisazione jazzistica. Un programma quello del trio di Jarrett che ha voluto anche esaudire, in parte, i gusti di un pubblico eterogeneo accorso alla Sala Santa Cecilia, attratto da due miti di questo inizio di secolo, il jazz e Keith Jarrett. Come ha suonato Jarret venerdì sera all'Auditorium? Lui in forma splendida, con una gran voglia di suonare, felice di eseguire quegli standars che ama moltissimo e che fanno parte del suo repertorio abituale ormai da quasi dieci anni. Rilassato al punto di alzarsi spessissimo dal seggiolino, suonando in piedi intere sequenze, come è solito fare, rivolgendo il viso verso il pubblico, con un gran sorriso, come invece fa molto raramente. Su Gary Peacock e Jack DeJohnette il giudizio è meno favorevole. Peacock, uno dei grandi contrabbassisti della storia del jazz di questi ultimi quarant'anni, è apparso in alcuni momenti stonato, tanto che Jarrett ha dovuto per ben due volte riportarlo nella giusta tonalità, suonando le note fondamentali del brano. Anche DeJohnette ci è parso meno efficace del consueto. Spesso "tirava indietro", nel senso che il suo accompagnamento era impercettibilmente in ritardo rispetto al tempo tenuto da Jarrett e Peacock. Piccole cose, ma importanti per un musicista che ha da sempre inseguito la perfezione e non solo formale.

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