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Il professor Bellavista sogna l'Inferno

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Unico scopo: sollevare il morale del lettore attraverso una overdose di ironia ed autoironia. A pensarci non poteva che essere Luciano De Crescenzo, in queste settimane tornato alla carica con un libro nuovo di zecca dal titolo "II pensieri di Bellavista" (Mondadori, pagg.262, euro 14), che richiama alla memoria la prima pubblicazione dell'ingegner De Crescenzo "Così parlò Bellavista", datata 1977. Ecco alcune delle sortite più illuminanti del pensatore partenopeo: "Molti studiano come allungare la vita quando invece bisognerebbe allargarla"; "Al Niente preferisco l'Inferno, se non altro per la conversazione"; "Nessuno è più infelice di un guardone in un campo di nudisti"; "Due rette parallele s'incontrano solo all'infinito quando ormai non gliene frega più niente"; "Sono affetto dal Dubbio Positivo. Ho sostituito il verbo credere con il verbo sperare". Riflessioni che lo scrittore e regista napoletano mette in bocca al professor Gennaro Bellavista, suo inconfondibile alter ego letterario. De Crescenzo, sono molti i critici che intravedono nel suo libro un vero e proprio testamento morale. Concorda con loro? «Per l'amor di Dio, i critici esagerano sempre. In questo libro sono racchiusi semplicemente i pensieri che mi vengono in mente la sera, prima di dormire. Di solito prendo sonno dopo circa dieci minuti: in questo lasso di tempo pronuncio i miei pensieri davanti ad un registratore. Sera dopo sera, anno dopo anno». In questo modo, i suoi pensieri sono diventati addirittura 365. «Già, e c'è chi li ha addirittura sfruttati materialmente, ricavandoci dei soldi. Prenda per esempio il pensiero numero 2: "Siamo angeli con un'ala soltanto e possiamo volare solo restando abbracciati": ebbene, sono state confezionate - e poi vendute- migliaia di magliette con questo pensiero ben leggibile sul petto, mentre sulla schiena era disegnata l'ala di un angelo». Questo pensiero mette in evidenza il valore dell'amore, un sentimento indispensabile per ogni essere umano. «Tuttavia, se devo essere sincero (non ricordo se l'ho precisato nel libro) ritengo che il "voler bene" sia un sentimento superiore all'amore, che considero una forma di esaurimento nervoso. Il voler bene è un sentimento paragonabile soltanto all'amicizia». Oggi si vuol meno bene di ieri? «Non credo: l'umanità a mio avviso non cambia mai». Nel libro lei scrive: "La gioventù, la maturità e la vecchiaia sono tre periodi della vita che potremmo ribattezzare Rivoluzione, riflessione e Televisione. Si comincia col voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali. Peccato che tutto questo si capisca solo ad una certa età". Non le pare di essere un po' troppo pessimista? «Direi di no, anche perché sono approdato a questa riflessione attraverso un mio personale percorso di vita. Sa qual è la vera malattia della terza età? La solitudine. Alla mia età (ho quasi settantasette anni) il rischio è quello di sentirsi soli, di restare a casa senza sapere che fare». La televisione, a questo punto, sbaglio o diventa un'ancora di salvezza? «È proprio una fortuna che ci sia. Le racconto un piccolo aneddoto famigliare: un giorno andai a trovare mia sorella che ha cinque anni più di me. Poiché stava guardando il "Grande fratello", le manifestai subito il mio stupore; io che l'avevo sempre considerata una donna intellettuale. Sa qual è stata la sua risposta: "Lucià, io ho tre figli, tre nuore ed otto nipoti, ma non mi viene a trovare nessuno. Se non ci fosse la televisione non avrei amici"». Quali sono i suoi programmi preferiti? «Se dovessi fare una classifica, al primo posto metterei i telegiornali. Tutti i telegiornali. Poi mi piace seguire quei programmi in cui si dialoga e ci si confronta intelligentemente. Quando capita seguo, per esempio, "L'Infedele" di Gad Lerner, "Sfera", oppure le nuove puntate di "Mi manda Raitre" condotte da Andrea Vianello. Di conseguenza, odio i quiz». Che tipo di infanzia ha trascorso Luciano De Crescenzo? «Un' infanzia particolare, difficilmente giudic

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