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di RAFFAELLO UBOLDI LA VOCE al telefono giunge fioca, poche battute, e la linea quasi subito ...

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Con quali strumenti? «Anche col lancio di palloni sonda». E a quanto è dato di capire, questa immensa nube è un fenomeno del tutto inusitato. Il K2, insomma, non cessa di meravigliarci; così come ci meravigliò allora, il 31 luglio del 1954, cinquant'anni da oggi, la felice riuscita dalla conquista della vetta himalaiana da parte di una spedizione italiana guidata da Ardito Desio. L'avvenimento viene oggi ricordato da una mostra di foto storiche delle spedizioni italiane in Himalaia, allestita a Roma nello straordinario scenario di Villa Celimontana, sede della nostra Società Geografica. Una mostra che è un po' la testimonianza visiva di quel «mal d'Himalaia» di cui gli italiani hanno sofferto, e soffrono da più di un secolo, partendo dal 1890 quando per la prima volta Roberto Lerco, originario di Grassoney, in Valle d'Aosta, si spinse fino alle pendici del K2. Gli fece seguito nel 1909 Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, con una spedizione documentata in modo eccellente dal fotografo Vittorio Sella. Un'altra spedizione fu quella del 1913/14 guidata da Filippo De Filippo, in compagnia di un illustre geologo, Giotto Dainello. E ancora quella con a capo un altro Savoia, Aimone, duca di Spoleto, di cui faceva parte il giovane Ardito Desio, che da allora giurò che un giorno il K2 sarebbe stato suo. Ci riuscì nel 1954 mandando in cima Compagnoni e Lacedelli, cui Bonatti aveva fatto da portatore di ossigeno. Bonatti che per una incomprensione coi suoi compagni di scalata rimase tutta la notte arroccato sotto alla vetta, rischiando di morire assiderato; e questo fu causa di polemiche, anche perché Bonatti, che pure nella pianificazione della spedizione non era destinato a salire in cima, giudicò che non gli era stato attribuito «tutto il merito che gli spettava». Il giudizio è dello scalatore, e studioso della montagna, Agostino Da Polenza, già stretto collaboratore di Desio, che più avanti nel tempo è andato egli pure sulla cima del K2. Come aggiunge: «Bonatti si meritava almeno una pacca sulla spalla». Ma dopo Hillary sull'Everest, e gli italiani sul K2, che cosa rimane ancora da scoprire? Sempre nell'opinione di Da Polenza: «Moltissimo, fra l'altro tutte le pareti nord delle cime del Karakorum, quelle in territorio cinese. Il mondo non ha ancora svelato tutti i suoi segreti, penso anche a certe vette delle Ande, dove gli italiani hanno fatto molto, ma dove molto rimane da fare, e sarebbe un modo per comprendere meglio la civiltà andina». Salire in alto, salire verso il cielo sembra essere una delle grandi aspirazioni dell'uomo... «Già, perché l'uomo avverte di continuo il bisogno di superare se stesso, i propri limiti fisici e naturali. Per questo esploriamo le grandi montagne, per questo andiamo sulla Luna, per questo fra poco si terranno le Olimpiadi di Atene. Questa ricerca di primati non è inutile, serve a capire meglio noi stessi e il mondo che ci circonda. E vorrei aggiungere che serve anche, davanti a tanta bellezza, a credere in Dio».

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