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LA MODA DELLE ARTI MARZIALI

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Attenti a non trasformare una filosofia in sport

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È la sua «definitiva» continuazione. O, meglio, la sua naturale conclusione. Temere la morte, quindi, è non vivere. E chi non accetta il rischio non è solo un vile, è già un morto vivente. Questo insegna l'Hagakure, il libro-manuale che cerca di sintetizzare la filosofia dei samurai. Un testo che, recentemente ha inspirato il bellissimo film «Ghost Dog, la via del samurai» di Jim Jarmusch, che racconta di un killer al soldo dei mafiosi ma con l'Hagakure sotto il braccio. Il codice d'onore prevedeva, oltre al rispetto assoluto della volontà del proprio signore, un'etica ferrea quanto trasparente. L'errore in questo campo prevedeva il massimo della «pena»: il suicidio rituale, o seppuku. In una società come quella medioevale giapponese (o cinese) la figura del samurai o del lottatore solitario di kung fu che affronta i prepotenti nell'apparente vuoto di ordine pubblico e di regole che garantissero i più deboli era non solo giustificabile, ma indispensabile. Oggi tutto questo è lontano. La «filosofia» della società consumista non tollera principi morali. Frenare i propri istinti equivale a comprimere gli acquisti, quindi a minare l'esistenza della società stessa. E quando, all'inizio degli Anni '70, i primi film made in Hong Kong arrivarono in Italia, alle poche scuole di judo si affiancarono palestre nelle quali si praticava il karate, l'aikido e il kung fu. Al di là della superficiale spettacolarizzazione cinematografica, però, gli aspiranti Bruce Lee italiani dovettero spesso fare i conti con maestri improvvisati e con lo stravolgimento dello spirito delle arti marziali. Il metodo che consentiva di vincere la forza bruta con la tecnica fu trasformato in attività agonistica. Il concetto alla sua base - provocare il massimo danno con il minimo sforzo - sostituito con un «punteggio». E le arti marziali degenerarono in quello che non sono mai state e mai potranno essere: uno sport. Lo stesso pericolo nella spada roteata da Cruise. Un film, sottolinea l'esperto Renato Tamburelli, «lontano mille miglia dai film di Kurosawa».

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