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di GABRIELE SIMONGINI SE fosse ancora tra noi, con il suo sorriso enigmatico ed ironico, ...

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Il costante e profondo dialogo con l'antico e con la classicità che innerva e dà linfa all'opera dechirichiana si rispecchia perfettamente nelle sculture romane o nello straordinario bronzetto greco con Ercole Curino che costituiscono uno dei vanti del Museo illuminato anche dal misterioso «Guerriero di Capestrano». La mostra (fino al 7 settembre), intitolata «Giorgio de Chirico cavaliere dell'immaginazione errante nell'immaginario» ed organizzata dall'Associazione culturale Trifoglio di Giuseppina Conti, è stata realizzata grazie alla fondamentale collaborazione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico presieduta da Paolo Picozza. Vi sono esposti quadri, disegni e sculture compresi fra gli anni Trenta e i Settanta e dunque ben lontani dalla rivoluzionaria fase metafisica. Ne viene fuori l'ennesima conferma dell'assoluta libertà immaginativa e veggente di colui che amava definirsi come «Pictor classicus», capace di dialogare con gli antichi come fossero suoi contemporanei ma anche di cogliere in pieno lo spirito della nostra epoca, inquietante e pieno di contraddizioni. In ogni caso, in tutto il fecondo percorso dechirichiano, non è stato mai interrotto il rapporto con la Grecia e con il mito. In gran parte delle opere esposte domina il tema del cavallo e del cavaliere («Efebo con cavallo», del '49, «Castore e il suo cavallo», del '47, solo per citarne due), presenze-simbolo di una continuità sorprendente che lega nei secoli la poesia omerica alla cultura barocca e poi al romanticismo. Immaginazione, memoria, rivelazione visionaria e magistrale tecnica pittorica sono le qualità con cui de Chirico ha compiuto un'epocale rivoluzione artistica pur restando un classico immune dalle tirannie delle mode.

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